Ci restava ancora una mezz’ora di viaggio in auto prima di raggiungere lo chalet nel cuore del bosco. Mio fratello imboccò l’ultimo colle a velocità sostenuta incrociando il mio sguardo nel cambiare la marcia. Era già venuto più di una volta almeno, prima di parlarmi del
piano.
La station wagon sfilava sicura tra i tornanti, il manto di abeti che prima scorgevamo da lontano adesso ci aveva inghiottiti, non più un raggio di sole sfiorava il sottobosco, alzai il finestrino lasciando cadere praticamente metà sigaretta fuori.
All’ultima biforcazione Sam prese un sentiero scosceso e non del tutto asfaltato, le piogge di Ottobre avevano arrecato danni fino ai confini della città e il sentiero era pieno di buche e il margine era frastagliato e fangoso.
Non vedevo ancora lo chalet in lontananza ma Sam si fermò ugualmente, spense la macchina e mise il freno a mano. Prendemmo tutti e due un respiro profondo come se fossimo rimasti in apnea lungo tutto il tragitto.
“Sali in cima e suona alla porta sulla facciata di destra, ti farà sedere con lui a bere un caffè o un whiskey scadente in quella cucina putrida. Aspetta che si volti per prendere una confezione di zucchero o qualcosa del genere e imbottisci il suo drink schifoso di
quelle gocce. Gli ho detto che eri emozionata di fare la sua conoscenza.”
“Okay… Passami quella boccetta.”
“Sei pronta o no?”
“Sì ti ho detto.”
“E tu lasciami due sigarette.”
Chiedendomi delle sigarette guardò fuori il parabrezza un punto che mi sembrava talmente lontano da credere che non ne sarebbe rivenuto più.
Ci salutammo, spinsi nervosamente la portiera e cominciai a camminare sul mantello di foglie umidicce. Mi domandavo se dalla tasca del jeans avrebbe intravisto la forma della boccetta; mi distrasse di colpo il latrato di un cane che fiutò la mia presenza prima che io potessi vedere lui. Una porta fu sbattuta molto forte e sentii un uomo rimproverarlo urlando più forte di lui… Il labrador che adesso potevo vedere, piagnucolava in fondo ad un recinto metallico e sembrava essere diventato indifferente alla mia presenza, docile e spaventato. L’uomo mi guardò ed iniziò anche lui a camminare verso di me. Accelerai il passo e lo raggiunsi al di fuori della recinzione. Mi strinse la mano, della stessa ruvidezza di quella di mio padre e mi strinse a sé dandomi due pacche sulla spalla, non saprei dire se delicatamente o non troppo. Mi fece cenno di seguirlo e come Sam aveva previsto, mi fece entrare sul lato destro, la porta di plastica come quella dei bagni pubblici apriva su una cucina rustica ma trascurata. Dissimulai un arricciata di naso per la puzza di lettiera di gatto fingendo mi grattasse la punta.
“Dolcezza sono anni che aspetto di rivederti. Wil mi parlava sempre di te ogni volta che veniva qui a vedere la partita, aveva l’aria di essere davvero fiero di te.”
“Lo era, mi ha sempre sostenuta.”
“Perché non sei più venuta a trovarmi dopo quel tragico evento?”
“Mi faceva soffrire l’idea di guardarti e vedere gli stessi occhi di papà…”
Restò in silenzio mentre pensavo a spostare gomiti e braccia dal tavolo appiccicoso di alcol, rovesciato pomeriggi addietro. L’aveva bevuta.
Si servì un bicchiere, rifiutai cortesemente di servirmene e lessi nei suoi gesti una voglia di aprirsi a me come se le cose non fossero mai cambiate, per lui non lo erano evidentemente. Si spostò dandomi le spalle per preparare la macchinetta del caffè. Aprii il flacone lasciando il contagocce nella tasca. Riuscii a versarlo tutto in tempo. Si girò e puntò tutto su una performance teatrale di scarsissimo livello:
“Lily se solo sapessi cosa mi è toccato in questi anni! Avrei voluto averti accanto, riconfortarti ricordandoti che non eri sola dopo la perdita di vostro padre, ma me lo hanno impedito. E Sam, accidenti che uomo che è diventato! Ha portato delle birre artigianali di carattere e abbiamo parlato molto. Sono convinta che gioca a football come suo padre.”
Non andava mai alle partite. Non ha mai fatto una telefonata per sapere chi si sarebbe preso cura di noi. Continuò prendendo un respiro:
“Sono affetto da un profondo malessere dal giorno della sua scomparsa Lily, le notti non passano mai nonostante i sedativi. L’alcol mi divora il fegato e non passa giorno in cui non penso di smettere, perché avrei voluto portarti in città a bere un espresso decente ma non ho abbastanza soldi nemmeno per mettere un po’ di benzina. Mi portano i pasti a domicilio due o tre infermieri, sono persino venuti il giorno del mio compleanno con una bottiglia di spumante e… Uno con la cornamusa che cantava in dialetto! Gli avrei voluto dire che lui non sa forse chi sono io, e che il lido lungo la costiera Argentea aveva successo grazie alla mia popolarità, che non sono mica un montanaro come loro!”
“Non ne ho dubbi zio, le tue mani sono levigate dalla brezza marina.”
E sporche del sangue di tuo fratello. Aggiunse:
“Sei davvero cara a venire a trovare un povero vecchio come me e aver superato il vuoto della mia assenza.”
“E’ stato difficile anche per te dopotutto. Sei il fratello di papà, dovevi volergli anche tu un bene speciale.”
Sorrise abbassando lo sguardo, voltandosi subito dopo per spegnere il gas e servirmi il caffè. La mia espressione era diversa ma lui non se ne accorse.
Sorseggiammo ciascuno dal proprio bicchiere continuando a parlare del più e del meno per altri dieci minuti che cronometrai dal momento in cui smettemmo di discutere del passato. Per tutto il tempo il mio sguardo non cadde nemmeno un secondo sul suo drink, ma salutandolo notai che restava giusto un fondo ancora, che avrebbe sicuramente mandato giù.
“Ciao zio.”
Quando risalii in macchina dissi a Sam di fermarsi prima di uscire dal sentiero, sarei andata a controllare che nessuno potesse vederci scendere da quella casa.
“L’hai fatto, no ?!”
Feci solo un cenno con la testa. Fu in autostrada che piansi a singhiozzi pensando alla paura che potette provare papà nel sentire le mani di nostro zio al collo, suo fratello di sangue.
“Lily è tutto finito.”
Mise un cd, il tempo di qualche traccia e già vedevo i cartelli in direzione dell’aeroporto. Era davvero tutto finito.