Queste riflessioni nascono dalla triste esperienza personale di chi ha un diverso in famiglia… ma non fraintendetemi, è solo un affine, non figlio e non convivente, e non si tratta di un sieropositivo, né di un portatore di handicap, né di un omosessuale, né di Balotelli o Cassano, né ecc. ecc. E il colore della sua pelle non è verde…
In effetti di primo acchito sembra una persona qualunque, assolutamente ordinaria, compreso un sensibile sovrappeso, e lo sarebbe, se non si fosse pian piano convinta, giorno dopo giorno (forse guardandosi allo specchio il mattino?!), di essere diversa: diversa dagli immigrati, dagli omosessuali, dai sieropositivi, da Balotelli e Cassano, dai politici, da tutti quelli che incontra in metropolitana quando va a lavorare.
Soprattutto, diversa da chi non si sente diverso come lei.
Adesso, finché sta zitta o parla delle cose qualunque, assolutamente ordinarie, che per fortuna occupano ancora molta parte della sua testa, sembra ancora una persona qualunque, assolutamente ordinaria, compreso un sensibile sovrappeso, ma quando qualche cosa (qualunque cosa!) le fa scattare la giusta associazione neuronale la sua diversità emerge con prepotenza, e di ordinario le resta solo il sovrappeso e l’incapacità di dialogare. Parte per la tangente, ce n’è per tutti, e se non riesci a far finta di niente peggio per te, ce n’è anche per te, dio che stress!
Resta una brava persona, lavora, tiene poco per sé.
Ma ora la sua vita è molto cambiata: alterna rari momenti di beatitudine profonda, quando può trovarsi con altri diversi uguali a lei (“i nostri”), a tanti, troppi momenti di frustrazione, quando, nella vita di tutti i giorni, deve trovarsi e rapportarsi in mezzo agli altri, quasi tutti diversi dai diversi come lei.
Molti non la capiscono, anzi, quasi nessuno la capisce.
Dal suo punto di vista molti, anzi quasi tutti non capiscono o non vogliono capire.
Questo la convince di essere parte di una specie diversa, non contaminata, un esempio rassicurante di biodiversità positiva in sé, in un mondo dove la biodiversità si confonde con la contaminazione.
Essere nata e cresciuta nello stesso posto, essere sempre rimasta nella casa di famiglia, nella stessa città, nella stessa via, nello stesso cortile, per lei non è una condanna, non è una scelta, è semplicemente un merito.
Non avendo la possibilità (o la capacità?) di sviluppare alternative, magari qualche sana dipendenza, magari una Onlus, o sesso estremo, ha rimediato aderendo al mondo immaginario dei “nostri”, che immagina come reale.
Per un attimo cerco di immaginare che cosa succederebbe se il suo mondo immaginario una mattina diventasse il mondo reale: allora il mondo reale, quello in cui vivono tutte le altre persone, dovrebbe diventare per forza immaginario, non possono essere veri tutti e due, si escludono a vicenda.
Ma a lei che cosa succederebbe? Basterebbe un certificato di nascita, l’accento, uno slogan, il sogno di ogni mattino davanti allo specchio, per farla rimanere dalla parte giusta, parte del mondo reale? O forse qualcuno si accorgerebbe che molti dei diversi, come lei, sono anche diversi dai diversi e non possono essere accettati dai “nostri”?
E lei si ritroverebbe a svegliarsi da un bel sogno per dover vivere in un brutto sogno, un mondo finalmente diverso che non la vuole e la giudica diversa.
O forse, in pratica, non cambierebbe nulla: perché, a ben guardare, il suo sogno di essere diversa non è altro che la reazione di una persona qualunque di fronte a un mondo che non l’accetta come lei vorrebbe, che non le permette di essere serenamente una persona qualunque, che la condanna a sentirsi diversa per non sentirsi poco più che niente.

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