“No, ma che cazzo dici … non puoi pensare … ma sei impazzito?” La ragazza era uscita sul pianerottolo del sesto piano urlando e si era seduta sulle scale sempre tenendo il cellulare incollato all’orecchio destro.
“Dai Umberto ti prego non fare così … ma che ne potevo sapere che c’era … ma no fammi finire … fammi finire cazzo!!! Mi fai finire? Non pensavo che ci fossi, mi avevi detto che eri via quindi ho pensato … non devo pensare??? E che cazzo significa stronzo bastardo maschilista del cazzo! No! Non mi calmo! Che cazzo volevi dire??? No adesso parliamo di questa cosa perché è sempre così e non può andare avanti! Hai capito! E … oddio ma che urli? Ah, ah, uhmm, ho capito ma … ah, si ah … ma … ma … mi vuoi così male? Perché hai urlato così? Mi fai paura … no lo so che ho urlato prima io però …ah ok si d’accordo forse anch’io ho alzato la voce … va beh ma adesso che c'entra … no sono ancora arrabbiata, non posso prendermi una sfuriata per non aver capito che tu c’eri e io pensavo di no … ma che palle! Ma non è vero! No! No! Non sono così, sei tu che … va beh, va beh dai … non ricominciamo … ok facciamo pace … non mi piace litigare con te anche perché tu sei, tu sei, così … ma tu che cazzo vuoi?”
La ragazza si era accorta di Paolo che stava lì sul pianerottolo , pochi gradini sopra di lei.
“No … niente … passavo solo di qua” rispose Paolo un po’ imbarazzato, ma non aveva potuto fare a meno di incuriosirsi per quel siparietto che si era visto davanti qualche metro più sotto.
“Chi cazzo ti ha detto di ascoltare, brutto pervertito schifoso … no … no … stai calmo Umberto … no non c’è bisogno che vieni qui a spaccargli la faccia … ci penso io … amore lascia stare dai … poi ci vediamo eh amore mio? Eh tu vattene subito segaiolo della minchia se non vuoi che ti spacco il culo!”
“Oooohhhh, vuoi stare zitta puttana di merda? È da dieci minuti che continui a urlare se vuoi che non ti si senta vattene a parlare in un posto più tranquillo, zoccola!” Paolo aveva perso la pazienza.
“Ma brutto figlio di …” fece la ragazza risalendo i pochi gradini e avanzando verso di lui, come per mollargli un ceffone
“Che? Che? Che cazzo vuoi fare testa di cazzo eh?” Paolo le aveva fermato il braccio a mezz’aria e la teneva ferma. Dal cellulare, imprecazioni e bestemmie provenienti da una voce maschile.
“Stammi bene a sentire … con il casino che hai fatto ti avranno sentito anche a tre chilometri da qua quindi la prossima volta scegli un posto migliore. E adesso tornatene al tuo lavoro altrimenti il culo te lo spacco io a te e al tuo tipo sfigato che sta urlando da mezz’ora al telefono! E sono certo che vi piacerebbe a entrambi!”
La lasciò andare e la scostò malamente contro il muro scendendo i primi gradini verso il quinto piano. La ragazza, dopo un attimo di sorpresa inveì ancora contro di lui, anche se a bassa voce, poi riprese la sua conversazione e ritornò dentro.
<> pensò Paolo e mentre mancavano pochi gradini al raggiungimento del nuovo pianerottolo, la porta antipanico si spalancò e ne uscì un ragazzetto non tanto alto, vestito sportivo e che guardava nervosamente dietro se, come a vedere se qualcuno lo seguisse.
Rinfrancato evidentemente dal fatto che non avesse notato nessuno, trasse un sospiro di sollievo, tirò fuori sigaretta e accendino e fece un primo tiro gonfio di soddisfazione.
Il ragazzo però non si era preoccupato di verificare se ci fosse qualcuno sulle scale e quindi non aveva notato né Paolo poco sopra né tantomeno la responsabile dell’ufficio Audit che stava salendo dal quarto piano, nota e feroce nemica del fumo nonché stronza colossale.
“Chi sta fumando? Chi si permette, qua sulle scale? Non sapete che è vietato” la voce della stronza anch’essa stronza, appunto, rimbombò per tutta la tromba mentre la stronza aveva affrettato il passo con l’intenzione e la voglia di cogliere il contravventore in flagrante.
“Chi becco verrà immediatamente denunciato al responsabile competente! E andrò a parlare anche con il suo capo ufficio!”
Paolo vide quel povero ragazzino farsi improvvisamente pallido e rimanere immobile non riuscendo a fare il benché minimo gesto, nemmeno quello di scappare dentro o gettare la sigaretta giù dalle scale.
Così…
“Grazie amico per avermi tenuto la sigaretta” disse Paolo andandogli incontro e prendendo la bionda tra le mani proprio mentre la stronza dell’Audit arrivava sul pianerottolo con la furia negli occhi.
“Dunque è lei che sta fumando? E non si vergogna? Questo è un luogo chiuso e non ci si dovrebbe permettere! E anche davanti a questo ragazzo? Ma io ora la denuncio …”
“Signora senta” rispose Paolo tranquillamente facendo un tiro “mi dispiace ok? Sono sceso a piedi dal quindicesimo piano e non avevo voglia di farmene altri cinque per poter fumare in pace. Ho approfittato di questo momento convinto che non ci fosse nessuno e mi sono acceso una sigaretta. Però ha ragione, qua non si dovrebbe. Chiedo scusa a tutti … guardi, ecco l’ho spenta” e buttò a terra la sigaretta schiacciandola “Ora mi scusi, ma devo andare, mi attendono arrivederci e scusi ancora”.
“Ma, un momento aspetti, mi dica il suo nome devo parlare con il suo capo … lei non …”
“Signora, per cortesia le ho già detto che mi dispiace” disse Paolo mentre stava già scendendo e senza voltarsi “Io non lavoro in questa azienda, ho solo fatto una consegna quindi non ha nessun capo da avvertire. Se vuole farmi dare un’ammenda la mandi alla ditta di spedizioni qui di fianco va bene? Ora mi scusi ma devo proprio andare via. La saluto signora, buona giornata”.
Fatto ancora qualche passo si fermò e disse: “E per favore, non incolpi il ragazzo, lui non c'entra me l’aveva detto che non si poteva” e proseguì mentre le labbra del giovane sussurravano un commosso grazie e quelle della responsabile qualche imprecazione.
“Per questa volta … forza su, tu, torna dentro” disse infine ricominciando a salire.            
 <> Paolo ormai era al terzo piano ed era quasi giunto a destinazione. Chissà, forse a quest’ora gli ascensori avevano anche ripreso a funzionare. Gli venne anche in mente di andare a verificare ma ormai, si disse, non ne valeva più la pena. Era meglio proseguire.
Rimpianse subito dopo tale decisione, quando sul pianerottolo del secondo piano dove si trovò la strada sbarrata da un grosso armadio che non gli permetteva di andare avanti.
“E questo chi ce l’ha messo?” disse Paolo mentre cercava un modo per spostarlo.
“Io ce l’ho messo. E se qualcuno non mi da una mano rischia di rimanere qua per un bel po’”
Dalla ringhiera dall’altra parte del mobile emersero il braccio ed il viso di un signore alto e piazzato con occhiali, berretto in testa e una folta barba nera.
“Devo portare questo mobile al terzo piano ma da solo non posso riuscirci. Sono da solo perché mai più avrei pensato che si rompessero gli ascensori. Sono riuscito a portarlo fin qui con l’aiuto di qualche anima gentile che mi ha aiutato in questi due piani. Ora me ne manca solo uno, che dici vuoi aiutarmi?”
“Come se avessi scelta, vero?”
“Beh” fece l’uomo grattandosi un sopracciglio “Effettivamente se vuoi passare di qua non hai molta scelta. Ma guarda il lato positivo: io finisco la mia consegna e tu puoi andare per la tua strada”
“D’accordo” rispose Paolo tirandosi su le maniche “Diamoci da fare così finiamo in fretta”
Quell’armadio pesava all’inverosimile. Mentre arrancavano lungo gli scalini che parevano interminabili, l’uomo gli disse che era destinato alla sala dell’archivio e che il Presidente aveva voluto un mobile di pregio in modo che potesse fare la sua scena.
<> pensò Paolo ansimante <>.
“Dai che ci siamo” diceva ogni tanto l’uomo con la barba “Un ultimo sforzo ci siamo quasi”
Dopo una buona mezz’ora giunsero alla meta tanto ambita. Paolo aprì la porta del piano, aiutò l’uomo a portare l’armadio fino all’entrata degli uffici poi salutò in fretta e furia e tornò sulle scale.
<
Le ultime rampe le fece praticamente correndo. Non voleva incontrare ulteriori ostacoli sulla sua discesa e voleva giungere alla porta d’uscita il prima possibile. Aveva altre consegne e non voleva tirarsele dietro fino a sera.
Dopo aveva da fare.
Finalmente, l’ultima rampa e là … in fondo … l’uscita!
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