Di solito alla fine di ogni litigata si sedeva ai piedi del letto o per terra con la faccia imbronciata, le ginocchia attaccate al petto e le mani unite.
Dovevo uscire da li a poco per incontrare Marco. Non sapevo come mandarla via.
Mentre facevo la doccia sentii sbattere la porta di casa: quella bastarda aveva buttato a terra l'orologio e mi aveva fregato anche le ultime due sigarette, ma almeno aveva fatto da sola ciò che io non ero riuscito a fare. Andai al bar portandomi dietro l'ombrello nel caso di pioggia, il tempo era mutevole come l'umore di quella stronza.
Marco era in ritardo, aveva un orologio di marca, ma non l'abitudine di guardarlo. Avere un cuore e non saperlo usare era molto peggio.
Al bar mettevano musica scadente ed improvvisata: non mi era mai piaciuto il basso, pensavo che fosse lo strumento più inutile nel mondo della musica, per me il cuore batteva al suono di una chitarra e il cazzo al fracasso di una batteria. La voce poi, meglio se femminile.
Mi vennero i brividi a sentirla cantare quella sera. Mi girai di scatto e la vidi seduta sullo sgabello dei cantanti, quello su cui poggi un solo piede. Helen era li, pronta per farsi ascoltare nella sua timidezza abbattuta dal rhum e dalle Marlboro rosse.
Era fantastico fumare nel bar nonostante i continui rimproveri per i buchi sui divani. Una sera di queste avremmo preso fuoco tutti insieme senza neanche accorgercene, una cinquantina di persone in fiamme con ancora in mano i bicchieri, da portarsi all'inferno, gli accendini non ci sarebbero serviti di certo.
Sognavo standomene li seduto da solo, accasciato sul divano nero, il più sporco e scomodo.
Aveva preso la forma del mio corpo.
Marco entrò senza che me ne accorgessi: aveva preso una birra anche per me, almeno sapeva come farsi perdonare il suo essere ritardatario. Intanto che Helen provava, non dovevamo parlare.
Dovevamo fare tutto a bassa voce quindi uscimmo fuori a fumare.
Dovetti farmi dare una sigaretta da un ragazzo seduto da solo in un angolo, poveraccio.
A me non andava di parlare ma dovevo farlo per Laura, almeno per lei.
“ Se vogliamo riuscire a portarlo oltre i confini regionali dobbiamo andare da lui. Ha uno studio di registrazione a Roma dal quale sono usciti i migliori. Io sono stanco di farlo per 'sti quattro coglioni.Voglio poter dire ce l'ho fatta, vorrei potermi sistemare ed andare via da casa dei miei il prima possibile. Hai capito?”
Mi chiedevo se fosse serio, pensavo stesse scherzando.
"Ho capito.(Ho capito?). Ma cos'hai in testa?"
"Non gridare!"
"Me ne fotto! Quando abbiamo cominciato eravamo d'accordo sul fatto di non essere come gli altri.
Ma lo capisci o no che siamo nella merda? Non abbiamo né lavoro né soldi! Dobbiamo farlo e lo sai anche tu. Scusa ma se tu non vuoi farlo lo farò da solo."
Helen stava per cominciare lo spettacolo, la gente era arrivata numerosa e avevano occupato anche il mio posto.
"Ne parliamo domani ,dai..."
"Non ne parleremo più, io parto stanotte. Te ne pentirai di essere rimasto qui. La fortuna qui non arriva. Addio."
Io rientrai nel bar facendomi largo tra le gambe secche di una ballerina di danza classica e i pantaloni col risvolto di un figlio di papà. Ci volle qualche spintone e un paio mi mosse false per arrivare in bagno. Ero riuscito a farmi dare una birra evitando la lunga fila per i cocktails e mi misi ad ascoltare Helen. Facevano musica piuttosto orecchiabile e si capiva che piaceva molto.
Di sicuro era riuscita ad ampliare il suo pubblico con quella partecipazione al talent show. Era stata eliminata verso la metà del programma, un colpo non troppo duro per lei, poteva ancora sperare di fare il grande salto.
Qualcuno era già andato via e trovai un posto adatto dove potevo rilassarmi. Stavano andando tutti via, in fretta.
I sogni se li stavano portando via uno ad uno. Non potevo crederci, sarei rimasto solo a torturarmi il cervello per altri vent'anni sul perché non fossi partito come loro. Io stavo bene li dov'ero, avevo il bar, avevo Nicole, Laura. La mia musica, la mia casa. Avevo tutto, già, avevo. 
Laura non sapevo se sarebbe tornata, se fosse tornata insieme a quel pagliaccio io sarei rimasto con quella pazza di Natalie. E lei? Sarebbe davvero partita? Marco ormai sapevo cosa avrebbe fatto.
Dovevo trovare una soluzione. Non potevo rimanere rinchiuso in quelle quattro mura. Non potevo più ormai. Era arrivato anche per me il momento di partire. Dovevo farlo per il mio sogno e per le mie future notti, con la speranza che fossero vuote dai rimpianti. 
Mi alzai piano per evitare di far vedere che ero ubriaco e andai via dal bar salutando velocemente qualche conoscente. Mi avviai verso casa cercando di fare attenzione agli altri autisti, ai loro specchietti e agli incroci che sbucavano come funghi da un momento all'altro quando la vista si annebbia. 
Le scale di casa facevano paura, come se ci fosse qualcuno ad aspettarmi sulla porta di casa. Natalie non poteva entrare in casa a quell'ora, o almeno non lo aveva mai fatto mai. Aprii con difficoltà la porta e trovai Natalie seduta sul divano del salone a guardare la tv. Pensavo non le piacesse quella stanza.
Aveva come al solito rovistato tra i miei cassetti per vestirsi comoda, come se i vestiti da donna che indossava le stessero troppo scomodi per fare sesso.
"Che ci fai qui?" Avevo la testa appoggiata alla porta e il corpo sbilanciato di lato.
"Non volevo stare a casa e sono venuta qui. Non potevo?"
"Oh no, certo certo, puoi venire quando vuoi, altrimenti perché ti ho dato le chiavi?"
"Si, hai ragione. Comunque ho portato un'amica. È in bagno a cambiarsi, le ho dato un paio dei tuoi vestiti, se non ti dispiace."
Uscii dalla stanza senza rispondere ed entrai in cucina: eh si, c'erano due borse e due paia di tacchi. Avevo chiesto a Natalie di togliere i tacchi quando entrava in casa. Davano fastidio ai vicini.
Due scarpe rosse e due verdi. Strano a lei non piaceva il verde, tanto meno il rosso.
La ragazza nuova uscì dal bagno con una maglietta che avevo dimenticato di avere: rosa con stampate sopra due ragazze che si baciano.
"Mi piace come ti vesti. Giorgio sei tu che sei entrato, vero?!"
"Ti ringrazio, non pensavo ti piacesse."
Ci fu qualche sguardo proibito ai suoi slip fiorati con un leggero merletto di pizzo bianco.
"Non vuoi sapere come mi chiamo?"
"A che pro se dopo dovrò chiamarti in un altro modo?"
Scoppiò in una risata e rivolse a me guardando Nat:
" Mi ha parlato molto bene di te..."
''Allora non ti ha detto la verità.'' risposi avvicinandomi, prendendola per la vita e sbattendola contro il divano del salone accanto a Nicole. Lei sorrise soltanto.
Le tolsi con poca delicatezza quella maglietta. Cosa cazzo avevano in testa 'ste ragazze?
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