C’era da aver coraggio a stare fuori quella sera, con il cielo che la mandava come si manda a quel paese un ingrato.
Per Vincent semplicemente non c’era alternativa.
Aveva deciso di posizionarsi sul ponte che passava sopra la stazione, sul ciglio destro della strada.
Con sé aveva tutto il necessario: tavolozza, colori e pennelli in una sacca che portava sulle spalle; tela e cavalletto stretti sotto un braccio e nell’altro un grosso pezzo di cartone che avrebbe poi in qualche modo issato sulle estremità del cavalletto per proteggere dall’acqua la sua creatura, e se riusciva anche se stesso.
L’attrezzatura pareva la stessa che usava alla “Decorò s.r.l.”, la ditta di restauri e decorazioni per la quale aveva lavorato fino all’anno prima.
L’aveva trovata accanto ai cassonetti dell’immondizia quel pomeriggio. Il suo occhio esperto l’aveva esaminata attentamente. Se non altro era molto simile, comunque in buono stato.
Ora Vincent aveva trascinato il suo passato sopra la stazione, lo faceva spesso, nei momenti apparentemente meno opportuni, tipo le serate umide, fradice di pioggia in cui l’odore del ferro bruciato dei treni si confondeva con quello della sua giacca rattoppata e della sua pelle sporca. Mentre quello delle latrine sembrava innalzarsi direttamente dal velluto dei suoi pantaloni e quello dell’asfalto bagnato dal ‘mocio’ di capelli che dalla testa gli scendeva a coprire l’incolta e lunga barba grigia.
Gli era rimasto solo quello, un mucchio di stracci e ora di nuovo gli strumenti del suo lavoro per un assurdo colpo di fortuna.
Così aveva deciso, quella sera avrebbe dipinto la luna.
Ed eccolo a preparare ardimentosamente su di un marciapiede, sotto una pioggia incessante, tutto l'occorrente per dare inizio alla sua opera d’arte.
Sul ciglio sinistro della strada, lei.
Alta, capelli castani, lunghi, lisci. Occhi grigio ghiaccio. Labbra gonfie di rossetto bordeaux. Stivali bianchi, autoreggenti e minigonna di pelle nera. Una camicetta gialla attillata con una scollatura anche troppo evidente, un seno non molto grande ma ben rafforzato. Giubbino di pelle purpureo. Al collo una borsetta rossa. E un ombrello a pois verdi e fucsia a coprirle la testa.
“Ehi bello… 50 bocca, 100 amore… vuoi?”
Parlava con un accento straniero, probabilmente rumeno.
Solo cinque metri di ciottolato la separavano da Vincent che nel frattempo, chino sulla tela prontamente coperta col cartone, dall’altra parte del ponte abbozzava i primi contorni della luna.
Di tanto in tanto qualche macchina passava tra loro noncurante, ma era una sera scontrosa, poco trafficata.
Lui si era voltato lentamente, catturato da quella voce, a fissare perplesso e incuriosito quel corpicino alto ed esile, pieno di colori discordanti.
“Eh?!”  e aveva presto capito  “Ah… Naa… Lascia stare”.
“Ma che fai, amore? Fai disegno sotto pioggia?!”
“Già… un ritratto alla luna!”
“Ah ah… che buffo tu, pazzo tu… Ah ah… tu tutto ti bagni!! Ma che fai?!”
“E tu? Non ti bagni tu?!”
“Io lavoro bello… 50 bocca, 100 amore, vuoi?”
“Noo… ma guarda questa!”  borbottava infastidito sottovoce.
“Ah ah… Ma vai a casa!! Che tutto ti bagni!! E tua moglie, tuoi bambini poi cosa dice?!”
“È questa la mia casa!”
Il suo sguardo era concentrato, rivolto verso l’alto e scrutava il cielo come a cercare qualcosa di paradossale, come si cerca la verità, intralciato dalle gocce di pioggia che imperterrite gli cadevano sulla testa e poi giù fino agli occhi.
E voltandosi verso di lei :
“Senti… Non ti preoccupare per me, sto lavorando anch’io non vedi?! Poi sono abituato a stare sotto la pioggia. E non voglio bocca né amore, ok?”
Eppure c’era qualcosa in lei che fastidiosamente lo intratteneva, se n’era accorto solo ora guardandola meglio. Era interessata.
“Ma come fai luna che luna non si vede con pioggia?! Tutto nuvoloso cielo!”
“Ehi… Qua ti sbagli, guarda bene!”
“Io non vedo luna, poca luce vedo, tutto nuvoloso cielo!”
“Devi aspettare che le nuvole si scostino. Guarda…”
“Oh ecco si!”,si era aperto uno squarcio tra le nuvole e la luna ora appariva in tutta la sua rotondità.
“Ma tanta pazienza tu. Nuvole sempre si muovono. Ecco, luna di nuovo coperta. Domani mattina finisci tu!”
“Beh non ho fretta. Le cose belle si aspettano, non lo sai?”
L’aveva guardata per un attimo accennando un sorriso mentre lo diceva.
“E tu? Tu cosa aspetti?!”
“Io aspetto niente bello. Neanche uno uomo stasera. Solo pioggia schifo che mi bagna vestiti e uno pazzo pittore qui che mi fa ridere!”
La pioggia cominciava a diminuire di intensità.
“Ma perché proprio luna disegni? Potevi fare me, amore?! Che sono ferma qui a rompermi palle, non piaccio? Fai mio ritratto! Dai… Sono bella ah… Fai mio ritratto, dai!”
In effetti era molto bella e Vincent ci stava pensando da un po’, mentre il suo disegno sulla tela cominciava a
prendere forma.
“Vi assomigliate. Vedi la luna come si nasconde. E poi riappare per brevi frammenti di tempo… è in lotta con le nuvole per un posto nel cielo. Nelle sere come questa è come se fosse invisibile, eppure è lì. Non si muove. Mica tutti riescono a vederla, magari la guardano ma non la vedono, non la vedono veramente. Capisci cosa voglio dire?”
“Sei poeta, amore… Ma non capito che c’entro io con luna?”
Lui la guardava fisso negli occhi grigio ghiaccio che anche a distanza di cinque metri gli parevano il cielo sopra in quel momento, incredibilmente attratto da quell’impenetrabile profondità.
“Tu… ecco tu… si, tu sei come la luna. E tutti quei colori… tutti quei vestiti che indossi sono come le nuvole lassù… ma io ti vedo!”.
Colpita. Si stava commovendo.
Vincent non lo poteva sapere dal lato del suo marciapiede ma lo percepiva.
Lei aveva voltato il viso verso la strada, come a nascondersi, come in un’attesa indifferente, in realtà spiazzata, smascherata, arrabbiata. Sentiva di dovergli una risposta all’altezza di quelle parole così vere e taglienti che l’avevano colta impreparata, forse si era offesa, forse si era vista. O era stata scoperta, per la prima volta.
Poco importava, sapeva di dovergli rispondere, di certo non prima di aver mandato giù quel groppo che le stava strozzando la gola come una corda di canapa.
“Allora miei colori come tuoi stracci… Bello, anche tu come luna! Ma tua pittura come vento che soffia via
nuvole… Tu fortunato… Visto io vedo te!”
Colpito. Spiazzato, smascherato, arrabbiato, nell’arco di pochi secondi il volto di Vincent era nuovamente riverso sulla tela in cerca di protezione, poi perso nel cielo e ancora sulla sua tela, nel silenzio della pioggia volta a finire che non si capiva più che acqua fosse quella che ora scendeva dai suoi occhi.
D’un tratto le sue orecchie avevano sentito il rumore di un’auto che si fermava e poco dopo ripartiva. Si era girato lentamente, timoroso e discreto, come in un’attesa indifferente. Lei non c’era più.
Era rimasto solo, sul ciglio destro della strada. Con una strana e sorda malinconia.
Pensava che la sua creatura non era venuta poi così bene. Forse l’umidità, l’acqua, la tettoia di cartone. Forse aveva perso un po’ la mano, non era più l’artista di una volta. Forse si era bagnato troppo. Pensava che se fosse ritornata avrebbe rifatto tutto, avrebbe dipinto il suo volto si, l’avrebbe fatto quella sera, se fosse ritornata.
In ogni caso l’avrebbe aspettata perché le cose belle si aspettano, un po’ come i colpi di fortuna o gli incontri speciali tra anime sole.
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