Non l’aveva ancora conosciuta. Era la nonna che abitava in una terra troppo lontana. Così diceva sempre la mamma, e scuoteva piano la testa. Questa volta però erano riusciti a organizzare. Betta partiva con la tata Adele. Aprile era un buon mese. Adele nascondeva la sua disapprovazione in fondo allo stomaco e aveva già preso due compresse di antiacido quella mattina. Non si poteva mandare in giro per il mondo una bambina di soli cinque anni, e per di più incontro a un’estranea. Nonna o non nonna non l’aveva mai vista, e questa esigenza di fargliela incontrare era sicuramente poco opportuna. Del resto si cresceva bene anche senza nonne. Adele stessa era un esempio concreto di questa evenienza. Altroché se era venuta su bene, senza antenate in circolazione!

Questa famiglia di Betta era alquanto bizzarra in merito a punti di vista e convinzioni educative. Per fortuna ci sarebbe stata lei, Adele, a provvedere e riparare ai danni. Anche se il compito, in certi momenti, sembrava essere al di sopra delle sue possibilità.

Comunque ora doveva distogliere questo pensiero e occuparsi di Betta, che esplodeva in gridolini di gioia ad ogni vuoto d’aria dell’aereo. Imparare a contenersi era una lezione fondamentale. E non era mai troppo presto per cominciare a impratichirsi. Per fortuna Betta era una bambina gioiosa e molto sveglia, accettava di buon grado i consigli di Adele e imparava subito. Bisognava ammettere che sembrava più matura della sua età, fatto che rappresentava un grande sollievo per la tata, che rimise a posto la pastiglia contro la nausea e si dedicò allo spuntino.  

Il viaggio era trascorso velocemente, il posto a fianco al finestrino aveva aiutato non poco. Paesaggi belli da sembrare fatati si erano alternati sotto l’ala luminosa del velivolo, e lasciavano presagire qualcosa di veramente piacevole al loro arrivo.

L’autista attendeva di far coincidere i nomi scritti sul cartello che reggeva con i volti di una donna e di una bambina, secondo le istruzioni ricevute. Le accolse con un sorriso e pochi gesti eloquenti. Non parlava l’italiano. La nonna di Betta invece lo conosceva bene, Adele aveva voluto rassicurazioni in merito prima di accettare di partire con la piccola.

Le sfumature del giorno si andavano attenuando quando scesero in un cortile di ghiaia e cuscini d’erba. Betta volò senza ritegno tra le braccia spalancate di una signora in posa sotto la pergola del glicine. Carattere teatrale, sentenziò fulmineo il pensiero di Adele. La tata rimase in discreta attesa a fianco alla portiera dell’auto mentre nonna e nipote si scambiavano smancerie. Il volto dell’anziana brillava di una luce commovente mentre stringeva la nipote e i suoi occhi penetranti scivolarono rapidamente sulla figura di Adele. Allontanò da sé Betta e le fece l’occhiolino:

“Dobbiamo fare qualcosa per la tua tata di gesso”, Betta annuì comprensiva e collaborativa.

L’anziana si sollevò a cercare lo sguardo di Adele, il glicine le sfiorava la testa e le guance. La brezza del tramonto faceva ballare i grappoli leggeri come una cascata di capelli birichini. Un raggio roseo e tiepido carezzò la fronte di Adele e Adele ricordò. Un altro glicine e un altro giardino, un sorriso dolce sotto grandi occhiali. Un abbraccio lontano e il suo nome sussurrato come un dono prezioso. Lasciò cadere la valigia sulla ghiaia e si avviò leggera verso la nonna di Betta. Molto stranamente si sentiva spinta da un’emozione che avrebbe potuto chiamare affetto.

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