Dopo alcuni minuti di silenzio, presi la parola.
«Marianna, in fondo tuo figlio non ha tutti i torti. Se te la senti, puoi portare avanti la gravidanza, e io ti sarò accanto in tutto e per tutto. Ma se preferisci interromperla, andremo insieme da un bravo ginecologo: potrai farlo in sicurezza e senza rischi.»

Lei scosse la testa, accennando un sorriso:
«Non se ne parla nemmeno!»

Allora le dissi: «Va bene, anche se continueremo a vivere separatamente, potrai contare su di me. Finché ce la farai continuerai a occuparti della casa come sempre, e quando servirà troveremo un aiuto. Non ti lascerò mai sola.» Le diedi un bacio sulle labbra.

Lei mi guardò e replicò: «Non voglio che tu mi sposi, sarebbe solo ipocrisia. Crescerò mio figlio come ho fatto con Angelo.»
«Come vuoi», risposi, «ma sappi che io ci sarò. È anche mio figlio, e me ne prenderò cura.»

Il giorno dopo decisi di affrontare Angelo. Mi misi davanti alla porta di casa e, appena lo vidi arrivare, gli dissi che dovevamo parlare.
«Non abbiamo nulla da dirci», rispose freddamente.
Insistetti, ma lui entrò in casa e mi chiuse la porta in faccia.

Poco dopo suonai il campanello, ma non aprì nessuno. Dopo qualche minuto comparve Marianna:
«Lascialo stare, parlerò io con lui.»

Quella sera, sentii suonare alla porta. Era Angelo, con lo sguardo basso. Lo feci accomodare in salotto.
«Non dovevi farmi un affronto del genere», mi disse.
«Nessun affronto, Angelo. Fammi parlare.»

Gli raccontai tutto, nei minimi dettagli: com’era andata, cosa avevamo provato, e le promesse fatte a sua madre. «Penso che, se restiamo uniti e collaboriamo, potremo dare un bel messaggio a tutti», conclusi.

Lui sospirò: «Mettiti nei miei panni... che figura ci faccio? Come verrò giudicato?»
«Non verrai giudicato da nessuno. Anzi, potrai essere orgoglioso di avere una madre con tanto coraggio.»

Il giorno dopo, chissà perché, decisi di giocare una schedina al Superenalotto. La domenica successiva lessi sul giornale locale che c’era stata una vincita multimilionaria proprio nel mio paese. Tornato a casa, controllai i numeri: erano i miei. Avevo vinto 170 milioni di euro.

Il lunedì mi recai in una città vicina, aprii un conto in banca e chiesi al direttore di riscuotere la somma in forma anonima. Dopo una settimana il mio conto mostrava 149.600.000 euro. Tornai dal direttore per chiedere spiegazioni, e lui mi disse che lo Stato trattiene il 12% di tasse sulle grandi vincite.

Non dissi nulla a nessuno. Ma dentro di me qualcosa cambiò. Iniziai a comprare online vestiti femminili, scarpe, parrucche, trucchi di ogni genere: fondotinta, mascara, fard, unghie finte… e, su un sito americano, acquistai anche ormoni femminili — antiandrogeni ed estrogeni — vietati in Italia ma molto efficaci.

Feci delle analisi del sangue per misurare i miei livelli ormonali e le inviai a un endocrinologo americano, che il giorno stesso mi rispose via e-mail, indicandomi la terapia più adatta.

Intanto la gravidanza di Marianna procedeva. La accompagnavo a ogni controllo dal ginecologo, e quando la pancia cominciò a farsi evidente, decisi di alleggerirla dagli sforzi quotidiani: mi feci aiutare da lei nel trucco e iniziai a vestirmi da donna, prendendo il suo posto nelle faccende domestiche. Imparai a cucinare meglio, a stirare, a lavare.

Angelo, vedendomi così cambiato, dapprima rimase scioccato. Ma col tempo il suo atteggiamento mutò: cominciò ad aiutarmi, a stendere i panni o a pulire il pavimento.

Passavano i mesi, e il mio corpo cambiava. Il petto iniziò a gonfiarsi, i capezzoli divennero sensibili, il grasso si spostava dai fianchi all’addome, le gambe si facevano più snelle, le mani più affusolate, le unghie sottili e fragili. I capelli crescevano più forti e veloci, e i lineamenti del viso si addolcivano. Certo, a volte avevo sbalzi d’umore, ma nulla di ingestibile.

Marianna intanto portava avanti la gravidanza senza complicazioni. Decisi di accompagnarla alle visite sempre vestita da donna; a guidare era Angelo, per evitare eventuali problemi con le forze dell’ordine.

Poco prima del parto eliminai definitivamente la barba e i peli del petto con la luce pulsata, una novità per quei tempi. Continuai a depilarmi gambe e braccia e a usare creme che rendevano la mia pelle liscia e vellutata.

Angelo cominciò a guardarmi con occhi diversi, con rispetto e persino affetto. A volte mi invitava fuori a cena o a mangiare una pizza. I miei capelli ormai erano lunghi, e dalla parrucchiera chiesi un taglio pienamente femminile. Mi feci anche forare le orecchie, così da poter indossare orecchini veri, non più quelli a clip.

Guardandomi allo specchio, non riconoscevo più il Mario di un tempo.
«Chi sono, ora?» mi chiesi. «Come mi chiamo?»

Mi vennero in mente alcuni nomi: Grazia… Graziella… Maria Grazia. Sì, Maria Grazia: mi piaceva. Così nacque la mia nuova identità.

Marianna fu la prima a saperlo, poi Angelo.

All’ultima visita ginecologica, chiesi al medico, incuriosita, il sesso del bambino. Lui sorrise: «Maschio non è».
«Evvai!» esclamai. «Una bambina!»

Pochi giorni dopo arrivò il momento del parto. Una notte Angelo mi chiamò: sua madre aveva le doglie. Avevamo già preparato tutto, quindi la portammo in clinica. Alla reception chiesero i suoi dati, ma Marianna rispose decisa: «Maria Grazia…», dando il mio cognome e la mia data di nascita.

Fu il suo modo per farmi un dono speciale — un anticipo del futuro che desiderava per me come donna, sapendo che io non avrei mai potuto avere figli miei. Mi commossi, ma la rimproverai: «Hai fatto una dichiarazione falsa!»
Lei sorrise: «Se qualcuno dovesse dubitare, basterà un test del DNA. Risulterà che è tua figlia.»

Quando arrivò il ginecologo, dopo una rapida visita decise per un parto cesareo, per evitare complicazioni. Io, ancora in preda all’emozione, presi da parte l’ostetrica e le promisi un generoso compenso se avesse chiuso un occhio sul fatto che i documenti della puerpera non corrispondevano al nome vero. Le spiegai che Marianna voleva solo farmi quel regalo: riconoscere come mia una figlia che non avrei mai potuto avere.

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