Presi le foto, quelle che la mia ragazza mi consegnava felice ogni fine settimana… per la quarta volta di fila era lì in mezzo alle altre. Non sopportavo quell’immagine… con lui lì. Sì lo vedevo, pensava di nascondersi, ma io lo vedevo proprio sullo sfondo, di profilo. Ricominciai a guardare le vecchie foto negli album, quelle dentro le scatole perché non ci stavano più negli album e quelle che custodivo nei miei cassetti perché le volevo solo io, quelle foto. Cercavo lui, lui che la seguiva, colto nell’atto da quelle foto, mentre lei rimaneva ignara del pericolo.

Lei, prima di tornare a casa passeggiava per almeno tre quarti d’ora e fotografava. Era una sua passione che andava avanti da anni, e al fine settimana mi mostrava i risultati dei suoi sforzi. Io ero felice di ricevere le foto. Le guardavamo insieme e decidevamo quali tenere con particolare attenzione. I soggetti variavano: paesaggi, sconosciuti, animali, amici trovati per caso o oggetti strambi. 

Ma poi lo vidi: la prima volta seduto su un muretto, mai che guarda verso la fotocamera o incrociava lo sguardo con lei. Pensavo fosse solo una coincidenza, ma quando settimana dopo settimana lui ricompariva e ancora, sullo sfondo, contaminava le foto della mia ragazza, le strappavo quelle foto, le accartocciavo e con loro, la faccia di quel parassita. Sapevo da dove veniva, io sì lo conoscevo, e per averne la certezza, davanti allo specchio, ho appoggiato la foto, lì vicino e ho guardato: i cappelli neri, corti, come i miei, visto di profilo il naso geometrico, rettangolare e dritto, identico; e infine sul braccio scoperto si vedeva un’abbronzatura di un orologio, e allora mi tolsi il mio e la vidi, la stessa abbronzatura. Sì, una copia di me seguiva la mia ragazza, un altro me stesso nato, lo so, dai miei pensieri malsani, doveva essere così, quelli sporchi violenti e distruttori, marci che la prenderebbero con violenza e la porterebbero via da tutti così da tenerla per me e nasconderla e avere la sua purezza incontaminata dal mondo… ma quel mondo putrido sono io e nello schiacciare tutto dentro di me è nato lui, l’altro me. 

Presi un giorno di ferie e indagai su tutte le centinaia di foto per scoprire da quanto l’inseguimento andava avanti e capire i posti dove più spesso compariva. Dopo questa ricerca priva di risultati consistenti, nei giorni seguenti raggiungevo la mia ragazza di nascosto dopo lavoro e la seguivo, così da scovare l’altro me e chiudere la faccenda. Badavo bene di stare dietro di lei così che non mi vedesse e io e lui non ci scambiassimo di posto. Già, poteva succedere, lo temevo, che si presentasse alla mia ragazza e insinuasse in lei il dubbio che lui era me e viceversa, così che fosse lui a vivere con lei, a mangiare con lei, a dormire con lei, a ridere con lei, mentre io mi sarei ritrovato a inseguirla per la città nella speranza di riprendere il mio vecchio posto. 

Non lo vidi. Non dissi nulla a lei. Scostavo le tende per guardare chi in strada si fermava davanti a casa nostra; quando uscivamo mi giravo a destra, sinistra, dietro e non la lasciavo mai sola, nemmeno la notte ormai dormivo, e la osservavo. Facevo attenzione che lui non arrivasse e mi uccidesse, o mi facesse sparire, o ancora entrasse in casa prima di me così da prendere il posto accanto a lei. 

Arrivarono altre foto, e rifeci il confronto allo specchio: ora mi assomigliava ancora di più, ero io, con quella barba incolta e i capelli spettinati dal vento. Che ci fossimo già scambiati di posto? La stavo pedinando la mia ragazza, la stavo seguendo e tenendo d’occhio e quelle foto lo dimostravano che morbosamente osservavo i suoi movimenti per non perderla. Ero io che volevo prendere il posto del vero me… io che dovevo andarmene prima di farle del male. Quello nelle foto ero io, io ero il pericolo. Il vero me avrebbe capito al volo, e sarebbe tornato al suo posto, si sarebbe presentato come se nulla fosse successo e lui sarebbe diventato io.  

Me ne andai di casa, senza salutarla… Fu un attimo ingerire un intero flaconcino di pasticche e liberarla da me per lasciare il posto all’altro me.

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