Genova è divorata da un vento gelido, come allora. E come allora i carruggi piccoli e stretti mi regalano riparo.

Ricordo ancora le mie labbra nascoste dietro alla sciarpa e le nostre mani infreddolite, intrecciate come radici, nelle tasche del tuo cappotto. Gli imponenti e soffocati palazzi seicenteschi a fare da cornice a un amore clandestino.

Supero alcuni negozi e mi fermo in una piazzetta racchiusa tra le mura degli stessi antichi palazzi che tu hai ammirato.

– Queste mura raccontano la storia – hai detto, con lo sguardo rivolto in alto.

Alzo gli occhi e ascolto: questa volta raccontano la nostra.

Non ti piace il vento, lo ricordo bene. E non ami i carruggi e i loro colori grigi. Troppo tristi per te che imprigioni l’arcobaleno sulle tele.

– Il vento non porta certo dolcezza, ma racconta grandi verità – ti ho sussurrato mentre cercavi riparo in me, che di grigio ho anche l’anima.

Un incontro sbagliato, il nostro, due cuori diversi, due anime distanti che si sono incrociate una sera d’inverno.

Ricordo quel giorno, tu infreddolito nel tuo cappotto a comprare colori per le tue tele, io a camminare a passo svelto e a testa bassa. Lo scontro è stato inevitabile. I miei vestiti neri diventano la tua tela. Tu sorridi. Io imbarazzata cerco di ripulirmi di tutto quell’arancione che mi ubriaca come una bottiglia di vino.

– Come posso rimediare?

– Posa per me.

E il nostro guardarsi apparentemente distratto era già desiderio.

Riprendo a camminare, lentamente. Indosso gli stessi vestiti di allora e le parole mai dette che mi divorano l’anima.

Scegliere la camera in albergo ci aveva rubato un sorriso nell’imbarazzo del momento. I nomi delle camere ci avevano resi complici più di quello che ci aspettavamo.

Quel giorno la mia pelle liscia e bianca come l’avorio contrastava con la tua, ruvida e cotta dal sole.

Arrivavi da posti lontani e sconosciuti per me. Il tuo ultimo viaggio era stato in Marocco. E sei partito il giorno dopo a inseguire i colori dell’estate. Troppo freddo a Genova, troppo triste l’inverno per te che amavi il sole e il caldo.

Mentre dipingevi, raccontavi di strade su gole strette e colorate con cascate dai terrazzi tutti coltivati, di grotte profonde e di leggende romantiche.

È passato un anno. Te ne sei andato mentre dormivo, lasciando il ritratto sul letto accanto a me. Sul retro della tela, scritto in arancione, un appuntamento.

Cerco con gli occhi l’insegna dell’albergo, è tutto uguale allora, solo un’impalcatura a nascondere l’entrata. Entro, come se fosse una grotta, la nostra grotta.

Il portiere mi sorride. Mi sembra strano che si ricordi di me, perché io non ricordo il suo volto, ma mi porge una chiave, come se già sapesse.

Salgo di corsa le scale. La passatoia rossa attutisce i rumori dei miei passi. Silenziosa apro con la chiave la porta della camera. La luce all’interno ricorda i colori dei tramonti di settembre, che dal rosa pallido mutano in un arancione sempre più bagnato dalla notte.

E tu sei lì, seduto sul letto che mi aspetti, nella nostra camera matrimoniale arancione Van Gogh.

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