Oggi sono venuti i ragazzi. Abbiamo mangiato tutti qui, come ogni anno, quasi gli stessi cibi, le stesse portate, gli stessi mobili, lo stesso albero con le luci, le stesse cose di sempre.
I nipoti hanno riso, si sono picchiati per scherzo, hanno giocato, hanno mangiato poco come sempre i bambini, distratti dai regali. Lei ha messo il broncio almeno una decina di volte, come fa sempre, ma poi le passa. Lui è un ometto di 10 anni che non fa capricci, sa come prendere la principessina lunatica a cui poi scappa da ridere.
Ti ho pensata, ti penso sempre, ogni anno e ogni volta che un compleanno, una festa, un pranzo con le nostre figlie torna a segnare la tua mancanza; e ti penso di più. Se c’è piacere nello stare insieme c’è anche la tua assenza che si ostina a presentarsi a tavola, che non si attenua anche se riesce a sembrare persino un’abitudine.
Mancavi solo tu. La nostra famiglia è tutta qui, attorno a questa tavola, i discorsi si incrociano, le voci si alzano insieme ai calici degli auguri.
I tuoi nipoti non ti chiamano nonna, per lo più nemmeno ti nominano, non ti hanno conosciuta, di te hanno solo qualche racconto. Per loro nonna è un’altra, il suo amore e le sue coccole non sono diversi da come sarebbero stati i tuoi. Ma se il nonno sono io, tu nonna non sei diventata mai. Senza colpe, hai spezzato questa parentela ancora a venire, e sa dio quanto ti sarebbe piaciuta.
Le nostre figlie sono donne mature ormai, una somiglia a me, l’altra è il tuo clone. Era evidente fin da piccole, ricordi? La grande, ancora adesso che ha la tua età di allora, ride, gesticola, parla come facevi tu, ha il tuo timbro di voce, il tuo sorriso, i tuoi modi spicci e la tua ironia. E ha paura di avere la tua età, non l’ha mai detto, ma lo intuisco. Ha paura di somigliarti persino nella malattia.
E’ passata anche tua sorella a giocare coi nipoti, e tra una cosa e l’altra siamo finiti a guardare le vecchie foto ingiallite. Pericolossissimo.
E’ cominciata con i ragazzini che spedivano foto whatsapp alla cugina in viaggio in oriente, oggi si chiamano selfie, e sono una tale ossessione! Sapessi quante cose sono cambiate, nemmeno te lo immagini! E poi, non so come sia successo, hanno aperto il cassetto delle foto, quello che io non apro mai. “Nonno, guardati, coi baffi! Nonno chi è questa? Nonno dov’eri qui?” M’è toccato guardarle e rispondere.
Non bisognerebbe mai: né scattarle le foto, né tantomeno riguardarle dopo 40 anni. Le fai ridendo, fissando un momento felice, una spiaggia, una città visitata. E ti ritrovi a fare i conti decenni dopo in quegli sguardi fissati in sorrisi che si portan via un pezzo di cuore ogni volta, con quel rumore di ostia spezzata, quel crac secco che segna ogni ricordo. E’ un sapore dolceamaro quel riconoscere negli scatti sbiaditi le facce in controluce, inquadrature scentrate, orizzonti storti e mari in pendenza. Stupirsi ogni volta di quanto eravamo giovani, e di quanto siamo cambiati da allora.
Siamo invecchiati tutti da quegli scatti. Tua madre che guarda nell’obiettivo ci sembra oggi così giovane da faticare a riconoscerla, in braccio ha la nostra primogenita. Va per i novantatre ormai, e se a me allora sembrava già vecchia, oggi quei suoi cinquant’ anni fermati per sempre in quel sorriso in bianco e nero, sembrano niente, che da un ventennio io stesso li ho superati.
Erano belle anche le tue sorelle, in quelle foto erano diversissime anche le gemelle, mentre oggi la vecchiaia le assomiglia come un marchio di fabbrica. Entrambe luminose nei loro 20 anni, agghindate alla moda degli anni ‘70. E la nostra piccola: quanto era buffa con quel fazzoletto in testa a coprirle il caschetto di capelli lucidi come un’orientale . Mentre l’altra già litigava con i suoi ricci biondi. La nostra nipotina perennemente imbronciata ha preso i colori da una e i ricci dall’altra ma ti somiglia anche lei; se solo potessi vederla, lei e i suoi no improvvisi con cui vorrebbe tenerci in scacco tutti!
Solo tu sei rimasta com’eri.
Noi siamo invecchiati e le foto stanno lì a testimoniarlo. Solo per te arriviamo a contare fino a 43 , non un anno in più. Senza una ruga, senza un cedimento: è il viso di nostra figlia quel tuo viso fermo agli anni ’80. Di te sola non ho un ricordo successivo, nessuna immagine dei tuoi cinquanta o sessant’anni. Congelato il ricordo nella tua pienezza di donna, a fatica scaccio quello dei tuoi ultimi giorni, per ripensarti com’eri quando stavi bene. Già nelle ultime foto la parrucca tradisce la malattia e il tuo sorriso è cambiato: quelle mi fanno più male.
Mia cara, ora i ragazzi vogliono giocare a tombola, mi stanno chiamando e ti devo lasciare. Ma un ricordo te lo dovevo.
Ne avresti avuti 70 in quest’anno che sta per finire. Sei rimasta a poco più di 40, bloccata a mezza vita. E con te ci siamo inceppati anche noi: l’altra metà abbiamo dovuto reinventarcela senza di te e ti assicuro che è stata dura, ma abbiamo fatto del nostro meglio e forse ci siamo riusciti. Buon natale anche a te.