C’era una volta una primavera capricciosa che aveva bussato in anticipo alle porte sconquassate delle stagioni, così che i tigli impazziti erano già in fiore e riempivano le strade con il loro lancinante, dolce profumo e c’era una volta anche uno strano ragazzo alto alto che rubava i sogni con gli occhi, occhi dolci e lunghi. Era in pizzeria solo soletto, mangiò quindi abbastanza in fretta, ansioso di ritrovarsi per strada e fare una bella passeggiata prima di rientrare a casa. Anche lì viveva solo, ma circondato dai tanti sogni rubati anche ad altri sogni e a molte illusioni, non sempre sufficienti però a dissolvere quella sensazione di malessere che talvolta gli rendeva insostenibile il silenzio. Perso quindi nelle sue fantasie non si era accorto subito che qualcuno lo stava seguendo….. Ma a un certo punto quel qualcuno lo superò e gli si parò davanti a zampette alzate, saltellando su quelle posteriori. Sì, era un cane! Uno strano cane di pelo grigio, quasi viola come i capelli di certe attempate signore americane, quelle con i brillantini incastonati nella montatura dorata degli occhiali. Aveva anche quattro polacchine di pelo bianco per zampette, due occhi furbi del tipo tanto-ti frego-io ed era chiarissimo che fissava il ragazzo con questa precisa intenzione ma il ragazzo disse subito NO!........ Fu così che il cagnolino restò per sempre con lui, o meglio, fino al giorno della sua misteriosa sparizione… e qui comincia la storia dell’incontro del ragazzo con… Camilla.

Da qualche tempo infatti si era ritirato in un antico paesino dove riusciva a catturare anche i sogni degli alberi e dei monti, ma proprio lassù un brutto giorno sparì quel buffo incrocio tra cane e attempata signora americana. Il ragazzo cominciò a cercarlo per le boscaglie, nei dirupi, nelle forre più anguste, nelle vicine case coloniche e in quelle più lontane, anche fra impenetrabili e altissimi grovigli di rovi…. Niente. Le malelingue locali dissero che erano molti i cani spariti in quel periodo, cosa che succedeva ogni volta che un circo minore fissava le proprie tende nei dintorni. Perchè? I circhi piccoli e poveri non potevano permettersi di comprar cibo per tutti gli animali, così alle vecchie fiere davano appunto in pasto…. carne di cane! Il ragazzo inorridito non riusciva a crederci ma imbacuccato nel giaccone raggiunse lo stesso il piazzale dove si era allocato il circo e si appostò dietro un robusto pino da dove poteva controllare la situazione. Pian piano si affacciò un timido sole. Dal tendone sollevato uscì un giovane di colore, intirizzito. Teneva per un rampino una elefantessa malandata quanto il circo stesso. Subito il ragazzo si nascose meglio, ma chissà perché ebbe subito la sensazione che quell’elefantessa piccola, vecchia e grinzosa, nonostante il vetusto pino-paravento, lo avesse notato, forse solo percepito… ma tant’è che a quel punto il ragazzo uscì allo scoperto con fare indifferente. Intanto il giovane magrebino bloccava il pachiderma con una spropositata catena a una robusta ma scricchiolante tavola perché non poggiasse le sensibili zampe sulla ghiaia ancora ghiacciata dalla brina notturna, poi girando la testa verso il ragazzo disse:

- “Si chiama Camilla.”-

Il ragazzo si avvicinò e i suoi dolci, lunghi occhi ladri di sogni, incrociarono quelli arancioni dell’elefantessa incorniciati da altrettanto lunghe e marcate ciglia nere.

E più si avvicinava, più entrava nel misterioso mondo pieno di luci e ombre di quelle iridescenti pupille dalle mille sfumature arancioni, occhi per nulla vecchi, che trasmettevano tanto calore e saggezza da farlo avvicinare ancora ancora ancora fino a sfiorarla. Lei, sempre immobile, ora lo fissava come a dire:

- “Osa di più. “-

Allora, ancora titubante, il ragazzo le poggiò una mano sulla groppa e Camilla emise un sospiro che diceva -“Ce l’hai fatta finalmente “- .

Al ragazzo non sembrava vero! Stava rubando un altro sogno o stava, in un certo qual senso, dialogando davvero con un elefante? Le sussurrò lievemente:

- “Ciao Camilla…”-

Ma sperava che nessuno l’avesse sentito, non voleva passare per pazzo! Camilla invece sì che l'aveva sentito… e la proboscide gli sfiorò delicatamente una mano. Aveva capito che stava cercando di comunicare con lei e pareva che i suoi occhi gli dicessero:

- ”Ora perché non ti calmi e magari non mi dai un po’ di quel panino che hai in tasca?”-

Lui ne staccò subito un pezzo. Ma gli elefanti sorridono? Il ragazzo si stava ponendo il problema perché era certo che, sotto la proboscide, la bocca di Camilla avesse assunto come una sorta di sorriso e che un vezzoso sbatter di ciglia gli stesse confermando che ormai erano in confidenza... Con quanta sconosciuta delicatezza prese quel pane. Lo mangiò guardandolo dolcemente. Questa volta fu lui a sorridere… Si ritrovò a sussurrare all’orecchio del piccolo pachiderma:

- “Camilla ne sai niente di cani dati in pasto alle fiere?”-

–“Quali cani? Sopratutto quali fiere?”- Così gli rispose:

Un po’ come Maupassant che sulla porta di casa aveva lasciato un cartello per l’ eventuale ladro: PERCHÉ CERCHI DI NOTTE QUELLO CHE IO NON TROVO DI GIORNO, POTEVI DORMIRE TRANQUILLAMENTE.

In quel momento sempre lo stesso magrebino, ma con un’altra divisa, tolse le coperture dalle poche gabbie al seguito del circo.

Il ragazzo vide così un lama male in arnese, uno struzzo dall’aria più stupida del solito, due scimmie intirizzite dal freddo e un vecchio leone sdentato che sicuramente sopravviveva solo grazie a papponi di pane e latte. C’erano anche diverse caprette e forse proprio loro provvedevano al latte del malandato leone. A quel punto, cercandogli nella tasca con la proboscide l'altro pezzo di pane, Camilla fece ancora un sorriso e il ragazzo fu certo di sentirle aggiungere:

-“Chi perde un amico nella realtà, qualche volta lo ritrova nei sogni. Tu che ne rubi tanti dovresti saperlo...”-

E il sorriso ora sembrava un furbo ghignetto che lei accompagnò con un altro tocco di proboscide sulla testa, più che altro un lievissimo massaggino circolare, come a stimolargli il ricordo di uno dei tanti fantastici voli della fantasia. Il ragazzo chiuse i lunghi occhi immergendosi in uno strano buio vellutato e a poco a poco quel dolce massaggio sembrava allargargli i pensieri in tanti cerchi concentrici, sempre più colorati e all’improvviso, fra un cerchio e l’altro, sentì abbaiare il suo bastardino… Ma non di paura, di felicità e gli facevano eco tanti squillanti acutissimi versetti che un po’ ricordavano quelli dei poppanti.

Un colpetto più deciso di proboscide gli fece riaprire gli occhi che incontrarono subito il lampo arancione di quelli di Camilla, che ora sembrava dirgli:

-“Hai cercato in ogni fratta di sospetti, paure… e imbecillità. Ma in quelle dell’Amore?”-

Il ragazzo frastornato stava ancora chiedendosi il significato sibillino della cosa, ma si convinse di colpo che invece era un concreto suggerimento, perché adesso la proboscide era tutta tesa e dritta verso i campi della vallata a fianco, proprio come un gigantesco dito indicatore e puntava dritta verso una specie di lontana stalla. L’unica dove non era ancora andato!

Un altro sorriso sornione, poi Camilla abbassò la proboscide, gli sfiorò lieve la mano, spense il bagliore degli occhi e cominciò a dondolarsi avanti e indietro. Lo stava congedando.

Da sotto il tendone uscirono alcuni uomini di diverse etnie, parlando ad alta voce una lingua incomprensibile. Il ragazzo si era già allontanato in direzione della lontana stalla ma si voltò per dare un ultimo sguardo all’amica di un attimo.

Anche lei lo stava guardando e gli occhi si accesero di un ultimo rapido bagliore a mo’ di discreto saluto.

Camilla aveva ragione. Il suo bastardino era un felice prigioniero dell’amore. Lo ritrovò in un angolino con la sua distinta signora, vagamente cocker e una nidiata di cuccioli di pelo grigio viola con polacchine bianche. Era papà e abbaiando stava inequivocabilmente chiedendo scusa per la sparizione… ma non solo…. Anche di ospitalità in blocco e il ragazzo disse perentoriamente NO!

Qualche ora dopo tutta la famiglia era al calduccio nella casa del ragazzo, felice ma spossato. Era in giro dall’alba e andò a fare un riposino, anzi come era solito dire “andò a riflettere sui destini del mondo”.

 

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