Una precisazione è doverosa: lo scritto che segue è un’evidente provocazione, poco adatta a stomaci deboli. L’uso del surreale e, a volte, del grottesco è stato suggerito dallo sforzo di andare oltre le cose, suscitare una riflessione più libera che razionale. Non c’è la pretesa di definire nulla. Ritengo, infatti, che a questo mondo tutto sia relativo e opinabile. Qualcuno potrebbe essere tentato di smettere di leggere dopo alcune righe. Ebbene, lo faccia: non trarrebbe alcun vantaggio dal proseguire nella lettura.

 

   Ero avvolto dalla leggera nebbia del mattino e dal fresco dell’aria tranquilla. I negozi, eccetto i caffè, erano ancora chiusi. La città era come incartata in una quiete intorpidita, come quella della domenica mattina.

   Per strada m’imbattei in un ragazzo che, accoccolato sul gradino di casa, zufolava un motivo dolce e nostalgico. Proprio di fronte a lui, un gatto bianco e nero, acculato con grande compostezza, lo scrutava immobile e attento.

      Ho ancora impressa nella mente quell’immagine misteriosa: il ragazzino che cavava note lente e soavi, impastate di malinconia, e il gatto che, immobile, assorbiva quei suoni attraverso orecchie ritte e vigili.

   La musica scrosciava nella mia anima immagini spontanee di foglie gialle, rugginose e rosse, che lente volteggiavano in un’aura autunnale e silenziosa, formavano un tappeto umido ai piedi di alberi sempre più spogli e tristi. Ero divenuto pura attenzione e fluttuavo ebbro di pensieri e di emozioni incontrollabili. Lasciavo entrare liberamente immagini sorte spontanee nella coscienza, e scacciavo da me ogni sentimento compulsivo, ogni identità, anche l’idea stessa dello spazio, che ben conoscevo. Si creava in me il vuoto e apprezzavo la spaziosità e la leggerezza di non essere aggrappato a nulla.

   Poi, gradatamente la musica si fece più incalzante e grandinò note, a mano a mano graffianti, rapide e drammatiche. Il gatto si alzò e flemmatico si diresse all’angolo della strada, si acciambellò e si addormentò.

   Io invece rimasi immobile ad ascoltare la musica che, divenuta più dura, aveva rapidamente cancellato quelle immagini tranquille dalla mia mente. Ora, nei miei occhi, scorreva un cielo grigio e gonfio di pioggia.

   Di colpo, la musica cessò e il gatto già dormiva, ignaro della tempesta che da quel momento avrebbe occupato i miei pensieri.

   In quella velata calma, un’improvvisa inquietudine mi assalì, i miei sensi si acuirono e una frotta di pensieri scorreva come l’acqua su un declivio via via più ripido. Avvertii in me una forza insospettata e me ne stupii subito; una forza fugace, fulminea ma sufficiente a cogliere quell’istante grottesco, ma anche drammatico.

   Non era un sogno: avevo osservato un fatto reale, proprio con i miei occhi. Per un motivo misterioso quell’emozione forte mi aveva portato molta energia e un incontrollato affollarsi d’immagini leggere. Il reale che avevo avuto sotto gli occhi, aveva prodotto in me uno spazio arido, senza niente dentro, giusto sabbia e, forse, il cielo. Ne ero certo: era uno spazio avvincente dal punto di vista emotivo e sensoriale. Aveva, per alcuni momenti, cancellato la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo che era in me. In quell’istante, non vi era traccia della lenta pietrificazione che non ha risparmiato niente e nessuno a questo mondo.

   Una domanda mi sorse spontanea: nella mia mente erano scivolate immagini di sogno, frutto esclusivo della mia immaginazione, ma cos’era successo nella mente del gatto? Anche lui fino a quando le note diffondevano sentimenti tranquilli era rimasto intento a guardare il ragazzo e dopo, all’incalzare della musica, si era semplicemente riavuto da quella stupefacente attenzione e si era addormentato, più in là.

   Tac. Aveva staccato la spina.

   Era tranquillo e si era subito abbandonato al sonno, mentre la mia anima aveva dimenticato le prime immagini di pace e, ora, turbata affondava in un’ansia inspiegabile, affogava in un senso di provvisorietà che rodeva e rodeva. Lui sembrava slegato dal mondo e dormiva tranquillo, io annegavo in uno stato d’animo cangiante e risoluto. Ero passato da un’estasi di pace a uno scoppio di tuono, così, subito, incapace di oppormi, di trattenere la pace e di fermare la folgore. 

   

(continua)

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