Vedere la condensa su questo vetro è diventata una consuetudine per me.
Ogni inverno è sempre più rigido e il mio respiro non può fare a meno di appannare il finestrino di fronte a me.
Quando si pensa ad una finestra viene subito in mente una lastra di vetro tra noi e l'infinito, il mondo esterno, il cielo.
Tutte aspettative negate se ci si trova di fronte al finestrino di una carrozza della metropolitana.
Il cielo e il panorama cittadino si annullano in un'oscura sinfonia di mattoni e tunnel sotterranei.
Ricordo di averne parlato con Ellen, di quanto per lei fosse difficile e fastidioso fare lunghi tragitti con la metropolitana, quando non riusciva a vedere il cielo si sentiva morire.
Per me essere avvolta dalla terra, percepire la luce solo attraverso i neon, mi fa sentire a casa, protetta.
Inoltre puoi trovare gente veramente interessante, sopratutto nelle ultime corse, nel silenzio della carrozza quasi vuota, dove d'inverno, il freddo diventa coraggio e ci si siede vicini per non patirlo.
Le migliori storie possono essere ascoltate dalle bocche più insolite, quasi come se quella spoglia, fredda e talvolta lurida carrozza della metropolitana si potesse trasformare in un accogliente salotto, un luogo per pochi eletti e le loro avventure o disavventure.
Rimango tutt'ora estasiata da questi cantori improvvisati, mi piace guardarli fisso negli occhi e cercare di capire dove finisce la verità e iniziano i tortuosi viaggi della loro mente.
La metropolitana per me è un rifugio, Ellen non lo ha mai capito.
Fin da piccola ha sempre preferito gli spazi aperti, probabilmente perché aveva passato fin troppo tempo chiusa nell'armadio della sua stanza durante la sua infanzia.
Molte volte le persone si limitano a descrivere o condividere i loro problemi ma non hanno il coraggio di chiedere aiuto.
Pur conoscendomi da quando aveva memoria, Ellen ci mise 14 lunghi anni a capire come io avrei potuto risolvere il suo problema.
In realtà non che lo avesse capito fino in fondo, ma era riuscita a chiedere aiuto.
A me piaceva il suo armadio, era caldo e confortevole con tutte quelle coperte all'interno.
Mi è dispiaciuto molto non poter più tornare in quella casa, in fondo è lì che sono nata, ma nessuno avrebbe lasciato vivere una quattordicenne da sola in un posto con quel pregnante odore ferruginoso.
Per Ellen la nuova casa doveva essere piena di finestre, non voleva più alcun armadio in camera e la luce avrebbe pervaso quell'ambiente in ogni ora del giorno.
Il fatto che il suo desiderio fosse stato esaudito mi rese triste, non era per questo motivo che l'avevo aiutata a liberarsi dell'Orco.
Per fortuna i suoi spostamenti implicavano lunghi tragitti in metropolitana, un luogo che io trovavo e trovo tutt'ora magico.
Con il tempo Ellen diventò sempre più felice e sembrò non avere più bisogno di me.
Oh, come si sbagliava...
Era un venerdì sera, lo ricordo bene, il ventoso autunno stava lasciando il palcoscenico al freddo inverno.
Le lezioni si erano protratte fino a tarda sera e fuori il sole aveva già abbandonato il cielo.
Erano passati cinque giorni da quando Ellen mi aveva rivolto la parola, ma non riuscivo a lasciarla da sola, temevo per la sua incolumità, le avevo detto che le sarei servita di nuovo, presto, lo sapevo, me lo sentivo, sentivo lo stesso vuoto che provai anni prima...
Dolce piccola Ellen, riesce ancora dopo tutto questo tempo a credere nella bontà degli altri...
Dolce folle piccola Ellen, dolce stupida piccola Ellen...
"Non andare a quella festa." le avevo chiesto più volte, fissandola negli occhi attraverso il riflesso dello specchio.
"Non ho alcun motivo per non andarci, non ho più bisogno di te, lasciami sola!"
Non vedevo Ellen così esasperata da quando suo padre era ancora in vita, se lei non voleva ascoltarmi non l'avrei certamente obbligata io a non uscire, ma di certo non sarebbe stata da sola.
Quel senso di vuoto raggiunse il suo apice proprio durante il viaggio in metropolitana, trenta minuti che la separavano dalla festa più invidiata dell'università, parole di Ellen non mie.
Riuscì quasi a percepire l'istante in cui la carrozza semi deserta divenne territorio di caccia.
Alla terza fermata la carrozza, che oltre Ellen, ospitava solo un senza tetto che dormiva nei posti finali.
Improvvisamente salirono tre uomini, dai volti coperti da sciarpe e occhiali, sentii i peli rizzarsi sul collo i Ellen, il suo battito accelerare e iniziò a spostarsi verso l'uscita più lontana da quella che avevano bloccato.
Nei minuti seguenti successe l'impensabile.
Uno dei tre uomini si diresse verso il senza tetto che dormiva alla fine della carrozza e in un istante si avvicino furtivo al viso dell'ignaro, aveva in mano qualcosa dal luccicore metallico.
Tutto accadde troppo in fretta; il coltello a serramanico era stato usato per tagliare la gola di quel povero uomo e gli unici rumori percepibili erano il mugugnare sofferto frenato da una mano sulla bocca e il gorgoglio del sangue che fuoriusciva copioso dalla vittima.
L'unica ragione per cui Ellen non rigurgitò la cena era perché era talmente paralizzata dalla paura che non riuscì neanche a gridare; un uomo era appena morto di fronte a lei e il suo assalitore sembrava estremamente compiaciuto.
Ellen inizio a battere contro i vetri per attirare l'attenzione ma non sembrava esservi nessuno, allora con le spalle pressate verso l'uscita si tolse le scomode scarpe e le lanciò contro gli aggressori, un azione di difesa puerile.
In un lampo un uomo le blocco la bocca e uno le mani, per quanto cercasse di divincolarsi Ellen non poteva sopraffarli.
In quel momento entrai in gioco io.
"A quanto pare ti serve il mio aiuto Ellen" le dissi con fare pacato, non provavo trionfo nell'avere ragione e non avevo motivo di aggravare la situazione emotiva della ragazza.
"Aiutami! Ti prego aiutami!"avrebbe voluto urlare quest'ultima ma la mano sulla bocca le impediva di parlare.
"Al mio tre lasciati cadere e fidati di me"le dissi dolcemente mentre i suoi occhi si inondavano nuovamente di lacrime.
In tre secondi le porte dietro Ellen si aprirono elei si lasciò cadere, tale mossa prese di sorpresa i suo assalitori ma mentre la ragazza si rialzava per scappare loro erano alle sue calcagna ma sembravano quasi lasciarle degli attimi di vantaggio per qualche motivo a lei sconosciuto.
Ellen era quasi arrivata all'uscita e lì vide un uomo e in lui vide la speranza, era riuscita a seminare gli altri, era salva.
Ellen dolce ingenua Ellen...
L'uomo le sorrise e le corse in contro lei già lo ringraziava che lui le bloccò i polsi e le sbatté la testa sul muro più vicino.
Ellen stava per perdere i sensi ma con le sue ultime forze, mentre sentiva mani estranee strapparle a forza i vestiti, lei continuava a urlare.
"No, NO! Vi prego uccidetemi ma non questo! Non posso! Non di nuovo!" si divincolava come un animale incatenato cercava di mordere o graffiare i suoi assalitori ma era tutto inutile.
"Ellen sai che io posso aiutarti, l'ho già fatto, devi solo volerlo" le dissi calma mentre guardavo lo scempio che facevano delle sue vesti.
"Non posso,non voglio iniziare tutto da capo, non voglio ricordare..."
"Non dovrai ricordare nulla questa volta, mia cara" la interruppi dolcemente.
"Questa volta sarà per sempre, nessuno potrà farti più del male e non avrai memoria di tutto questo..." continuai sorridendo, mentre i suoi assalitori le legavano le mani con i suoi stessi abiti.
"Devi solo dire di si, accettami Ellen e tutto finirà, te lo prometto" le avrei voluto tenere il viso tra le mani mentre la rassicuravo con queste parole, ma erano legate.
Il suo si urlato con tutto il fiato che aveva in corpo, fu l'ultima cosa che riuscì a fare prima di svenire.
"Ellen hai sentito del massacro ieri sera? Per fortuna non ti è successo niente, mi sono preoccupata quando non ti ho vista alla festa..." esordi Carol o almeno credo fosse questo il suo nome.
Ci misi un attimo a rispondere, non ero ancora abituata ad essere chiamata Ellen "Non preoccuparti, adesso va tutto bene." le dissi sorridendo dal mio nuovo volto.