Le mattonelle a fiori rattoppati stridono con le slot machines rubasoldi che non dovrebbero stare in questo luogo antico.
Il biliardino è consumato, i panini sono vecchi. I tavoli sono scrostati. Le cameriere sono sporche.Trippe nemmeno nascoste, cappellini con marchi di oleifici che non esisotno più. Occhiali tenuti con lo spago. Perché il signore di sessanta e passa anni non si schioda dallo schermo mentre cerca di far uscire il tris di cuori nella macchinetta?
E le puttane, dico, ma le avete viste? Sono di una bruttezza smodata ed eccellente. Sono grasse, sporche e mal vestite.
Eppure hanno il coraggio di proporsi, di avvicinarti.
Uomini bloccati nel mezzo di un salto mai fatto, tra consuetudini frantumate e un incedere attuale che corre troppo veloce per le loro gambe gonfie: meglio fermarsi in questa terra di mezzo.
Birra e vino. Quanta ne scorre.
Battute che non capisco, livore toscano ed accenti etruschi che si perdono nella notte delle ugole.Chissà nel tempo che fine faranno questi posti. Chissà se chi si chiama fuori dai normali traffici umani potrà contare sempre su luoghi come questo,piccolo suburbio incastonato nella città pulita.
 Chi non ce la fa più, o chi non ce l’ha fatta, può contare su questi luoghi.
Il meglio e il peggio dell’umanità, si danno appuntamento qua.
Per quel che mi riguarda, pane con le acciughe come viatico del paradiso. Se esiste un eden credo vi si mangi il pane con le acciughe e il vino rosso.
Sensazione infantile e calorosa, di quando tutto teneva, e le acciughe stavano sopra la pizza estratta dal forno che faceva accorrere i ragazzini da ogni parte della via, fermando di colpo la partita ci calcio sull’asfalto.
La cameriera si improvvisa assistente sociale ed avvicina il vecchietto ipnotizzato davanti alla macchinetta con fare amorevole ‘ non abbiamo giocato abbastanza per oggi?
E lui cede, a patto di scendere dallo sgabello pur di sentirsi tenuto per mano.
Ecco il gesto mancante: tenersi per mano. Quando mai si vede oggi, nelle nostre strade e nelle nostre esistenze, qualcuno che tiene l’altro per mano per salvaguardarlo?La mano oggi è un patto frettoloso, una consuetudine che manca di intimità, è una credenziale scambiata con le unghie nettate e il palmo non sudato.
Io non sono uno di loro. Non lo sarò mai. Ho fattole valigie da questi luoghi molto tempo fa, per approdare in nessun posto, prima di incontrare l’amore.
L’amore che mi ha impedito di diventare una carogna.
 Alla fine della vita vorrei trovarmi qua, con tutte le cose care che ho lasciato. Davanti ad un pizza alta e con le acciughe, con i bicchieri sfasati.
Con i sigari cubani di calibro medio e un liquore che li porti sino alla fine.
Tutto questo ha termine col fischio del treno, che mi riporta via.
Ma non loro, questa umanità composita e goffa che domani sa di potersi ritrovare qua.
Mi chiedo che senso abbia la solitudine,
e perché faccia parte del corredo umano.
La fine della vita passata da soli,
senza nulla che motivi campare il giorno e tirare la sera.
Eppure sono stati uomini e donne, lavoratori e amanti.
E tante ne avranno combinate.
E corse, passioni, liti e sangue e tradimenti.
E poesie e bestemmie, e maledizioni e cibo mangiato con voracità.
E magari sacrifici fatti e subiti, in nome di una miglior vecchiaia.
Ma fuori dal discorso d’amore, siamo nati tutti già vecchi,
La costante della nostra esistenza è quella di esser soli.
L’illusione del gruppo o della comunità andrebbe infranta alla nascita.
 E’ un grande baraccone dove ci sono solo comparse.
Siamo, nostro malgrado, prim’attori. Interpreti unici, “ special guest” di un canovaccio che dobbiamo imparare a reggere.
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