Era detto così per via delle prediche.

Quando una parrocchiana, destata da un “preghiamo” recitato a volume più alto del solito, si svegliò di soprassalto e cadde rompendosi il femore, la Curia lo trasferì a Mezzacosta, dove la strada ancora non arrivava e, da metà percorso in poi, si riduceva a un sentiero in terra battuta.

La cappella di San Romualdo non aveva campanile e un castagno, cresciuto lì accanto, ne faceva le veci. I rami sfioravano il tetto di coppi e, a uno dei più bassi, qualcuno aveva attaccato, tanto tempo prima, un campanaccio per vacche. All’occorrenza, il sacerdote usciva sul sagrato e lo scuoteva.

L’altare era minuscolo e, spesso, si doveva usare quello vecchio, ancora rivolto verso il Santissimo, all’uso preconciliare.

In un angolo stava un confessionale in legno di noce e, di, fronte, una statua in gesso della Madonna. Accanto, sbilenco, il ritratto di San Romualdo. 

Il crocefisso era nuovo perché quello vecchio, troppo pesante, un inverno era caduto per terra e s’era spaccato. 

Il prete divideva il suo tempo tra l’orto e il gregge, non sempre equamente. Di battesimi non ce n’erano e, di funerali, solo ogni tanto. Ai giovani che di tanto in tanto passavano di lì la chiesetta piaceva, ma preferivano sposarsi in paese, perché a Mezzacosta le macchine passavano a stento. 

Alla messa ci andavano al massimo in nove, quasi tutte vecchiette che spesso, durante la funzione, recitavano il rosario e che, alle invocazioni, rispondevano ancora in latino.

Quando le nuvole, salendo dal lago, si appoggiavano sulla montagna e l’aria cominciava a farsi più fredda, cercavano di sedersi il più vicino possibile alla stufa a gas che ronzava in un angolo.

Per indovinarne le sagome, sedute sui sei banchi che riempivano tutta la chiesa, non serviva accendere la luce: bastava il lumicino del candeliere.

Solo quel giorno c’era una faccia nuova.

S’era fermato un attimo all’ingresso, accanto all’Erminia (che, a ottant’anni, diceva di avere ancora le scalmane e si lamentava perché la nuova porta, sostituita da un anno, non faceva passare abbastanza aria), poi s’era fatto avanti, mostrando un viso giovane e vagamente straniero.

Alla preghiera dei fedeli, mentre, alle sue spalle, le teste si chinavano l’una verso l’altra in bisbigli confusi tra il frusciare delle foglie e il crepitio della pioggia sul tetto, s’era fatto avanti e aveva recitato un pezzo del Vangelo secondo Matteo.

Chissà, s’era detto il don, forse stavolta, alla predica,  potrei improvvisare qualcosa

Ci aveva provato e, quasi, gli era sembrato di esserci riuscito, tanto che, alla fine, il silenzio gli era sembrato più denso, nel lento scolorare che annunciava la sera.      

  

«Se non fossero stati già vecchi e malandati forse se ne sarebbero accorti, soprattutto se la porta dell’ingresso fosse rimasta aperta… sa, la puzza…» disse il medico del paese.

Il maresciallo se ne stava fermo accanto all’ingresso, un po’ sull’attenti, un po’ impaziente. Con quella pioggia, l’ambulanza avrebbe impiegato un sacco di tempo a salire dalla città. D’altronde, non c’era fretta.

«Oh be’» disse alla fine «forse non è stato un gran male». Li guardò uno ad uno fino ad arrivare al prete che rimaneva nell’ombra, a parte il riflesso di una candela sulla pelata. «Sembra che dormano».

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