Botteghino del Teatro Mercadante

<<Buonasera!>>

<<Buonasera.>>

<<Vorrei fare due abbonamenti.>>

<<Ha già scelto se venire nei giorni feriali, il sabato oppure la domenica?>>

<<Preferirei il sabato sera, ma dipende anche dai posti disponibili.>>

<<Vediamo... ci sarebbero questi due posti nella fila “F”, centrali rispetto al palco.>>

<<Vedo che il primo posto della fila “F” è segnato in rosso, significa che è già prenotato?>>

<<Si è prenotato.>>

<<Allora vanno bene questi qui alla fila “F”.>>

 

Scrivo un sms a Marina per informarla che ho fatto gli abbonamenti, come avevamo concordato e mentre scrivo mi ritorna in mente come l’ho conosciuta: era il quarto  incontro di aggiornamento aziendale sulla sicurezza. Marina era uno dei tre consulenti della Enfoss, ditta esterna incaricata alla formazione degli impiegati.

 

Capelli castano scuro a criniera, trucco vagamente dark un po' accentuato, specie sul contorno occhi. Tratti vagamente somiglianti a Maria Scheneider, tono della voce profondo, esposizione chiara. Abbigliamento rigorosamente nero ma sobrio. Già dalla prima lezione mi aveva colpito per i suoi modi  e per la sua eleganza. Finalmente escogitai un quesito non troppo stupido da porle a fine sessione.

<<Scusa Marina,  posso chiederti una cosa?>>

 Lei, per niente sorpresa, iniziò una lunga disquisizione sui dispositivi di protezione che la legge prevede per alcune nostre lavorazioni. Io fingevo un certo interesse, cercando di essere quanto più possibile convincente. 

<<Credo di essere stata abbastanza esauriente>>, alla fine disse, sottolineando “esauriente” con il gesto del virgolettato. <<Ma vedo che tu non dai cenni di cedimento. Allora mi chiedo, quando ti deciderai a invitarmi a cena?>>

Scosso, riemersi dallo stato di “ipnosi” in cui ero caduto, nel quale architettavo una nuova mossa.

<<Come? Non stai scherzando vero? Certo, quando vuoi, anche questa sera, anche a pranzo se non hai impegni. Ma, scusa, come sapevi che volevo invitarti e che mi avrebbe fatto piacere conoscerti meglio?>>

<<Troppo facile!>>, rispose accennando un delizioso mezzo sorrisetto <<Nessuno si sarebbe sognato di fare quella domanda e si sarebbe sorbito tutta la lezione supplementare con tanto interesse se non avesse avuto un altro obiettivo. Non te la prendere, non è colpa tua, ma voi uomini siete terribilmente prevedibili. Vediamoci alle otto al bar vicino la sede della Enfoss, poi decidiamo dove andare. Scambiamoci i numeri di telefono.>>

<<Accidenti… smascherato al primo colpo!>>. 

<<Annotati il mio numero e fammi uno squillo, tre tre tre zero zero cinque due… allora ci vediamo, stasera>>.

Rimasi un tantino perplesso per i modi spigliati, ma la considerazione che Marina era abituata a parlare in pubblico e alquanto esperta in pubbliche relazioni mise ben presto a tacere quel che resta dell’antenato primate dentro di me, offeso dall’essere stato scavalcato nell’iniziativa. 

D’altronde era stato tutto molto naturale, quello che non si esprimeva con le parole lo facevano i gesti e gli sguardi. Restò l’eccitazione per l’inatteso appuntamento.

Quella sera decidemmo di evitare i rispettivi “un posto carino che conosco e vorrei farti scoprire” e ci imbucammo nella prima pizzeria che trovammo. 

In sottofondo si sentiva della musica. Ci guardammo negli occhi e senza ancora conoscerci, come il chiromante legge  il futuro nelle linee della mano, noi vedemmo il nostro.

Era iniziata così, circa due anni fa, la nostra storia. Una storia ormai matura per un’imminente convivenza.

 

 3 novembre

 

<< Pronto. Ciao, senti, non posso venire a teatro, devo finire necessariamente un lavoro>>

<<Ma come, è il primo spettacolo e già te lo perdi?>>

<<Purtroppo sì, ma non ti preoccupare non capiterà più. Se ti secca andare da solo invita qualche amico tuo,  anche per non sprecare il biglietto.>>

<<Non so, no, è troppo tardi per invitare qualcuno. Se proprio non puoi venire tu, preferisco andare da solo e dopo tornarmene a casa.>>

<<Fai come vuoi. Ci sentiamo dopo.>>

Il foyer del teatro è zeppo di gente. È il turno del sabato dedicato agli abbonamenti.  

Lo spettacolo di oggi è stato ben pubblicizzato. Il ritorno al teatro, dopo la pausa estiva, è sempre un evento atteso e piacevole. Si può finalmente indossare quello che si è acquistato con gli ultimi saldi, staccare il cartellino con il prezzo e compiacersi dell’affare che si crede di aver fatto. Appena è possibile entro in sala, cerco la fila “F” posto tre e cinque, posso scegliere. Scelgo quello più interno. Tolgo la suoneria al telefonino per evitare che squilli nel bel mezzo della rappresentazione, attirando su di me il biasimo di centinaia di persone e il rischio di un linciaggio. Non è che abbiano torto, ma a volte si esagera e il malcapitato viene trattato come un pedofilo colto nel tentativo di adescare un minorenne. Probabilmente sarà quanto resta dell’iniziale avversione generale per i  telefonini. 

Controllo i messaggi, nella speranza che Marina abbia avuto un ripensamento o si sia liberata. Un messaggio di Marina c'è, spero di leggere “Sto venendo, lascia il biglietto al botteghino!”. Invece niente, solo un affettuoso “ Divertiti”. Mi rassegno.

Visto che ci sono, cancello un po’ di messaggi che ingolfano la memoria del telefono. Lascio quelli simpatici di Marina, cestino quasi tutto il resto. Approfitto del posto vuoto alla mia sinistra per poggiare l’impermeabile e mi accorgo che il posto singolo a inizio fila è stato occupato. Avevo immaginato  un attempato signore. Non so, magari un vedovo che proseguiva la vecchia consuetudine di andare a teatro con la povera moglie prima che lei, a seguito di una “breve ma fatale” malattia, lo lasciasse solo con i ricordi di una vita trascorsa in simbiosi e con i figli ormai adulti e autonomi. Avevo immaginato che non avrebbe mai tralasciato di dedicarle un pensiero, riportare alla mente un ricordo o di fare il suo nome appena ne avesse avuta l’occasione e a fine spettacolo andare via chiedendosi quale sarebbe potuto essere il suo giudizio sullo spettacolo. Invece era una donna, una ragazza. Anche lei compie varie operazioni con il telefonino, poi lo mette via.

Guardo l’orologio, mancano circa 10 minuti. Lo speaker del teatro fa il suo primo annuncio e invita gli spettatori che si attardano nel foyer a prendere posto. 

 

La ragazza ha tirato fuori dalla borsa dei ferri da calza e inizia a lavorare della lana di un bel tono di azzurro. Dopo un po’ ne controlla la larghezza. Sono stupito, non mi è mai capitato di vedere qualcuno lavorare a maglia a teatro, in attesa che lo spettacolo inizi o, riflettendo, neanche al cinema e neanche ai concerti. Poi me ne faccio una ragione, riprendo ad armeggiare con il telefono e cancello anche i messaggi “in uscita”. 

 

Sul palco una panchina, le luci vengono spente.

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