Dopo aver bussato, senza aspettare, entrai nella stanza di Augusto Ferri, il mio capo dipartimento all’Agenzia delle Entrate. Notai subito che fissava il telefono con uno strano sguardo, ebbi l’impressione che volesse spostarlo con la forza del pensiero, invece, era solo molto perplesso. Si girò verso di me e, cogliendo la mia espressione interrogativa, disse:

- “In tutta la mia ventennale carriera da dirigente, non mi è mai capitato di ricevere una telefonata di questo tipo in occasione del trasferimento di un nuovo impiegato nel mio ufficio.”

- Immagino la solita telefonata di qualche alto dirigente per raccomandarlo? Ipotizzai sollevato, avendo temuto per un momento che si trattasse di brutte notizie.

- “No” replicò, “E’ questo il bello. Mi ha chiamato Aldo Del Duca, un collega che conosco da molti anni, abbiamo lavorato nello stesso ufficio a inizio carriera, lo ricordo come una brava persona. Mi ha informato che il fratello Sergio ha chiesto ed ottenuto il trasferimento nel nostro Ufficio”. Distogliendo lo sguardo dal telefono, a dispetto del cartello di divieto, accese una sigaretta.

- “Appunto. Una telefonata di cortesia, una buona parola per il fratello. Ma scusa se te lo ricordo, tu hai nominato proprio me per vigilare sul divieto di fumo. Cosa fai, concili?”

-- “Ivan, poi ti offro un caffè al distributore per corromperti.” Mi disse sorridendo. “Niente affatto! Mi ha messo in guardia dal fratello. Ha detto che purtroppo questo Sergio è la vergogna della sua famiglia, la classica pecora nera, un mezzo mascalzone. Mi ha raccomandato di stare molto attento e, se voglio evitare problemi, non devo assolutamente affidargli incarichi delicati o di responsabilità. Poi ha concluso dicendo che lui, per la nostra vecchia amicizia, la sua parte, con questa telefonata, l’ha fatta, e di non rivolgersi a lui quando sorgeranno problemi, perché da anni hanno rotto ogni tipo di rapporto”. 

La storia era effettivamente singolare, meritava un approfondimento. Presi posto sulla poltroncina davanti alla scrivania e accesi anch’io una sigaretta, prelevandola dalle sue, con il suo accendino placcato oro, regalo dell’ultimo Natale di noi impiegati.   

Io e Augusto, chiusi nel suo ufficio, ci mettemmo a spulciare i documenti nel fascicolo personale di Sergio Del Duca fresco di protocollo in arrivo. A parte varie e prolungate assenze per malattia, non trovammo nulla di anomalo, nessuna censura, nessun rapporto negativo. Ipotizzammo anche che Augusto chiamasse il dirigente dell’ufficio di provenienza per chiedere informazioni su Del Duca o che io le chiedessi a qualche collega che avesse lavorato con lui, ma ci sembrò troppo scorretto e sconveniente, una modalità mai adottata in precedenza e che poteva rivelarsi una cattiva accoglienza, tra l’altro ancor prima di conoscerlo di persona. Decidemmo di fare affidamento sulla nostra capacità di capire le persone al primo incontro. 

Augusto con l’interfono mi chiese di raggiungerlo nel suo ufficio, entrai nella sua stanza e lo trovai in compagnia di una persona che stava parlando con grande enfasi. Capii immediatamente che si trattava di Sergio Del Duca. Augusto mi sembrò divertito, mi invitò a sedere e mi presentò il personaggio confermando la mia intuizione. Del Duca, stringendomi la mano, ripeté il mio nome 

- “Ivan De Stefano” per memorizzarlo meglio. Augusto lo invitò a continuare il discorso che aveva interrotto, lui non si fece pregare e riprese.

- “Allora, io entro in presidenza, saluto il preside e mi complimento con lui. Lui ringrazia e me ne chiede il motivo e io: “Ma come, per la sua promozione a Rettore della facoltà di medicina della Federico II”. Lui mi guarda perplesso, allora io gli mostro gli appunti di osteologia sui quali mio figlio avrebbe dovuto studiare perché, essendo la palestra della scuola chiusa per ristrutturazione, il professore Russo, di educazione fisica, ha imposto lo studio delle ossa del corpo umano, pertanto ha ritenuto di rimandare a settembre gli alunni che non hanno imparato il nome di tutte le 206 ossa. Quindi, questi ragazzi, non solo non hanno fatto educazione fisica tutto l’anno per un problema della scuola, non solo hanno dovuto subire le angherie di un professore con gravi problemi mentali, ma avrebbero dovuto anche passare l’estate a preparare l’esame di riparazione su un argomento che nessun piano di studio del Ministero prevede? Il preside a questo punto capisce che sta per arrivargli un ricorso grande come una scuola e mi rassicura: “Non si preoccupi signor Del Duca, dica a suo figlio e se ne ha la possibilità anche agli altri, che svolgerò io stesso gli esami nel cortile della scuola e consisteranno in un saltello pro forma e mi scuso fin da ora per il fastidio che avranno nel dover venire il giorno stabilito per l’esame”.

Augusto rise divertito dal racconto, stavano parlando dei rispettivi figli e del loro rendimento scolastico. Mi unii anch’io con un sorriso alla risata del direttore. Intanto avevo studiato il tipo: discreta presenza, asciutto nel fisico, vestito di buona fattura  anche se un po’ vissuto.

Augusto congedò Del Duca dicendogli che al rientro delle ferie gli avrebbe comunicato l’incarico che deciderà di affidargli.

Quando restammo soli, Augusto mi chiese cosa ne pensassi. Io ero dubbioso, dissi che, vista la presentazione del fratello, non mi sarei aspettato una persona così distinta. “Infatti”, concordò lui, “Evidentemente ci saranno dissidi familiari.   Avrei pensato di proporgli l’economato, Giacchetti andrà in pensione tra poco e ci serve un sostituto”.

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