La mia inadeguatezza si estende anche alle mura casalinghe. « Mi ascolti, Leo ? Dove ce l’hai la testa ? » mi chiede a volte mia madre. Osservo i miei genitori nella loro quotidianitá e mi stupisco della loro perseveranza. « Come si puó perseverare nella infelicitá e nella ripetizione ? ». La sera, l’unico momento in cui siamo insieme riuniti intorno al tavolo durante la cena, li guardo. Mio padre é un uomo triste, che forse aveva dei sogni ma li ha da tempo accantonati, al loro posto hanno fatto largo i capelli bianchi, le preoccupazioni per il mutuo, il lavoro che non so se lo soddisfa ma fatto stá che trascorre piú ore in ufficio che a casa con mia madre. Mangia con la testa china sul piatto e con una voracitá che sembra stia facendo una gara o abbia fretta di finire per sprofondare nella poltrona dove comunque si addormenterá dopo mezzora. 

 

« Diventeró anch’io cosi ? », mi chiedo ed ho paura. A volte cerco di capire cosa potrei fare per uscire da questo stato indefinito, ma non arrivo mai a una conclusione attendibile. 

 

Un giorno mentre vado a scuola in tram ed osservo la nostra cittá scorrere dal finestrino vedo Stefano alla fermata. Ha un impermeabile inglese, ma gli sta corto ; tiene il bavero alzato. Sale, guarda le facce dei passeggeri che occupano i posti intorno, arriva fino a me e senza guardarmi si siede al mio fianco ; fissa il libro di filosofia che tiene sulle ginocchia in atteggiamento di grande attenzione. Solo dopo qualche minuto si gira all’improvviso, mi dice « Ehi ». Il giorno dopo torna a sedersi accanto a me nella penultima fila e da allora cominciamo a fare il percorso casa-scuola-casa insieme e a diventare amici.

Mi rendo presto conto che Stefano non vive nella stessa situazione contemplativa in cui galleggio io. É concreto, immediato, le sue decisioni sono rapide e coraggiose. Non allaccia moltre amicizie a scuola con i nostri compagni di classe e questo lo rende ai loro occhi ancora piú interessante poiché irrangiungibile. Si veste diversamente da noi, é sgualcito e incurante. Durante il percorso in tram non parla molto, scrive frenetico sul suo quaderno come se prendesse appunti o svolgesse i compiti per casa all’ultimo momento e invece scrive racconti, annota i suoi pensieri di una pagina o due, fatti di descrizioni meticolose tessute insieme a formare una trama fine. Sono l’unico che li puó leggere e, dato il suo carattere schivo e dimesso, l’idea che mi abbia scelto mi fa ancora piú piacere. 

 

L’estate per fortuna torna ogni anno. « Che dici, andiamo al lago oggi ? », mi chiede un giorno sul tram, senza guardarmi. Pedaliamo con il vento che ci deforma i vestiti e i volti. Ci tuffiamo nell’acqua ancora gelida per i miei gusti e nuotiamo per riscaldarci. Mi rendo sempre piú conto che la sua é una intelligenza viva e che gli interessa fare molte cose, piú che parlarne. Prende libri in prestito in biblioteca o li ruba nelle librerie del centro. Legge a casa di notte e di pomeriggio dove gli capita, a scuola durante le lezioni, riparato da una pila di testi di studio. Mi sento un ragazzino paragonato a lui. Lui si affida al suo istinto, io sono ligio al dovere. Lui é libero, io mi sento in prigione.

 

Una volta abbiamo passato la notte sulla riva del lago. Faceva freddo e umido e le zanzare erano insopportabili, ma ci siamo riscaldati nei nostri sacchi a pelo. Nel cuore della notte, quando il silenzio si è trasformato in respiro costante, Stefano me le indica : Le stelle! E abbiamo fissato il pezzo quasi circolare di universo sopra di noi per il resto della notte. Mai piú dopo di allora ho sentito di appartenere cosi intensamente a una persona, alla natura, alla terra, al cielo, al bosco e agli animali che si nascondevano in esso come durante quella notte. 

Nel silenzio mi confida, « tra una settimana me ne vado, lascio il liceo », « questa cittá é diventata troppo stretta per me ». Rimango senza parole, lui d’altronde non si aspetta commenti da me. 

 

Il giorno della partenza vado a casa sua. É la prima volta che vedo sua madre, piccola e premurosa, la somiglianza incredibile dei loro occhi mi stupisce. Alla fine, dopo aver ascoltato le raccomandazioni che entrambi sanno lui non seguirá, Stefano prende la sua sacca di tela. Arriviamo alla stazione e Stefano mi dice « Ehi, ciao, allora », e se ne va. Non mi sono augurato saluto migliore, tutti gli altri commiati mi avrebbero intristito. Mi sento spaesato, inadeguato, seguo a lungo con gli occhi il treno che lo porta lontano e mi rendo conto che la sua compagnia cosi lieve e la sua intelligenza acuta mi mancheranno da morire.

 

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