Ho sempre avuto paura delle bestie troppo grandi. È  vero. I cavalli, per esempio. Ora, non se ne vedono più per le strade, ma quand’ero piccolo in città circolava di tutto: birocci, calessi e carrozze che facevano lo stesso servizio che fanno ora i tassì.

   Per le strade si avvertiva forte il tanfo di piscio e dovevi stare attendo a non calpestare le fetenti scie di merda di cavallo. Passavano dappertutto, anche per le stradine strette del centro, ed è lì che avevo più paura. Mi guardavo indietro in continuazione e aguzzavo le orecchie. Appena avvertivo il lontano rumore degli zoccoli, mi precipitavo a trovare un portone in cui nascondermi. Aspettavo che passasse e poi riprendevo il cammino.

   Una volta non riuscii a trovare un portone o, forse, quei maledetti, erano tutti chiusi… non ricordo. Allora mi accartocciai nel vano polveroso di una vecchia porticina, chiusa da anni. Per non farmi vedere dalla bestia stetti premuto sulla porta sollevato sulle punte, rigido come un baccalà.

   Quando il cavallo, scalpicciando sul selciato, mi passò davanti, proprio in quel momento, girò la testa verso di me e, forse, fu sorpreso di vedermi spalmato su quella porta, ne sono certo. Vidi i suoi grandi occhi lucidi che mi guardavano con intensità e guizzarono via veloci.

   Avverto ancora il soffio caldo della nuvola di vapore che usciva dalle grosse narici. Si era in inverno e faceva freddo, ma io per un pezzo quel freddo non lo avvertii più. Rimasi sudato e con il cuore in gola, per alcune ore.

   Non ho mai più smesso di guardarmi indietro, nella paura dell’ignoto.

   Quante belle cose, anche importanti, ho perso per paura.

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