36)

Gratto,
mollo,
la sabbia.
Le dita,
ballo,
tra i granelli, di seta
la vita,
delicata,
sfiora, stavolta,
e non tocca;
come me.
Incrocio
per sbaglio
l’acqua, il verde, lo spiraglio
di sole che langue sordo
nell’occhiale;
onda
tra le onde, spumo
tra le fronde,
tra la gente,
gratto,
mollo,
la sabbia.

 

37)

Già ti vedo,
che sorridi per una freddura,
e con premura t’abbandoni
alla vergogna che provi
quando ridi di polmoni.
I capelli mossi dal vento,
slanciano luce e inseguono
a stento i miei occhi
che vedono attraverso.
Le tue curve, rosacee,
modellano la sabbia
dorata, che t’abbia per sempre
spera, e ingannata dispera.
Già ti vedo di sera, folgore.
Lampo di fiori del vestito
ballerino, all’andare spedito
delle tue gambe, un gabbiano
sorvola, e mogia torni
a rintuzzarti nelle braccia,
in ricordo di giorni d’ariaccia.
Ma quei giorni son granuli
viaggiati dal vento, lo stesso
che assapori mentre sorridi
ed evapori le tue ciocche d’argento.
Ancora
l’universo prova
a farti dispetti, ma tu
capricciosa
t’arrendi ai suoi mille aspetti,
e ne godi i risultati
nella tua bellezza pastosa.

 

38)

Abbracciar la tua mano, con la mia,
mentre riposi sul sedile,
e io guido all’orizzonte.
A fronte, questa strada è una via
d’Oniro e tu Caronte,
mi riconduci all’ovile.
Mentre ascolto il frusciar delle ruote,
le tue gote colan fresche,
e sete
mi percuote.
Pesche nel color,
le tue labbra raggrinzite
dal sale, rinsecchite
per il troppo parlare.
Il manto di grano,
cipiglioso al tatto,
che è cascata su di te,
m’ammanta d’un brezzo.
Di dolci sorrisi,
che m’immagino
a occhi chiusi,
mentre c’abbracciamo,
narcisi,
le mani.

 

39)

Tramortisco la sera, sul letto
a fissar un soffitto, che sa già di tela.
Mi fisso intorno, ingrigisco,
a veder la solitudine piatta,
e muovo occhi di latta
a far necessitudine virtù.
Tu.
La mia virtù:
pingerti bella, sul soffitto.
Se l’amarti fosse un vizio,
ne sarei soggetto, soggiogato,
e mai contento d’esser sazio.
Non dirmi il tuo nome,
non farmi sapere né professione,
neanche tua passione;
resta tela, resta illusione.
Che se la testa m’inganna,
non è per morsi d’adolescenza,
ma percorsi di dolce panna
e gesta di concupiscenza
che sanno porsi, saltuariamente,
al centro della mia mente.
E versi, scoscesi,
esondanti, rimbombatori,
tesi a cercarti tra i muri
e sulle pareti, schizzano
la stanza.
Guazzano le membra, parole
che tu, Tu indefinita,
tu ombra e sapore,
non puoi n’anche sentire.
Tu, senza orecchi
e senz’occhi per vedere,
sai di amore,
più di quanto io,
tanto uomo come
cielo astrale, non saprei
manco immaginare.
Quasi mi vien voglia di morirti,
Tu, non sai
quanto vorrei scoprirti,
e toglierti il mio amore di ferirmi.
Tu o io, che sia
quel che vedo di schivo,
ma Tu, non io,
sia l’obiettivo mio.
Meta travagliata,
del corridor di percorsi di panna;
tela che osanna
gli schizzi d’ogni pittor di soffitti.

Tutti i racconti

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La madre di Sara

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