«Non provo più i sentimenti di una volta.»

 

Così avevo chiuso con Angela, in videochat. Non ne potevo più. Eppure mi sono spesso ritrovato a pensare a lei, quando il mondo è impazzito: quelle sere davanti al camino, nel nostro rifugio di montagna, non le potrò mai dimenticare.

Era naturale che decidessi di tornare là, in mezzo al bosco, lontano dalla follia di questi giorni. Spero abbia pensato la stessa cosa e sia anche lei scappata dalla sua città.

 

Ecco la casa! Arrivo con il serbatoio ormai vuoto. Parcheggio di fianco al badile abbandonato che usavo per spalare la neve. Sembra tutto uguale a prima: le ortensie secche lungo la salita, la porta con appeso il babbo natale, le finestre con le persiane ben chiuse, il camino… senza fumo. La macchina di Angela non c'è ovviamente. Avrei dovuto chiamarla quando ancora i cellulari funzionavano, maledizione! Ma poi perché?

 

Ho in tasca la mia copia della chiave, non l'ho mai restituita. Apro la porta esterna, poi quella interna. Dentro è buio, c'è un'aria che puzza di faggio bruciato, proprio come prima. Non ho controllato se la corrente è ancora attaccata, ma per fortuna la luce si accende. E' veramente rimasto tutto come prima: il tavolo da pranzo mangiato dalle tarme, la vecchia stufa di ghisa, il divano di noi due davanti al camino, spento. E poi c'è lei! Che mi guarda con stupore e gioia e lascia cadere il coltello e mi corre incontro e mi abbraccia e io la stringo e le bacio il viso e il collo e siamo ancora insieme e siamo salvi!

Poi lei mi morde il collo. E stringe. Forte. Tento di staccarmi. Mi stai facendo male. Lasciami!

 

«Scusa, non volevo» dice tra lacrime di gioia e paura.

 

E all'improvviso mi cade il mondo addosso: è contagiata. La sensibilità alla luce, l'incuranza per il freddo e l'istinto di mordere sono sintomi inequivocabili. Ci sediamo sul divano, entrambi scossi.

 

«Quando è successo?»

 

Cerco di osservarla, preoccupato, per capire a che stadio sia.

 

«L'altro ieri. Un positivo ha tentato di mordermi al supermercato. E' riuscito a graffiarmi prima che le guardie lo fermassero e per fortuna nessuno ha notato la riga di sangue sotto al mio braccio.»

«Sono solo i primi sintomi. Dicono che si può guarire. Su Twitter…»

«Non sono nemmeno tornata a casa, mi sono fatta portare qui da Milena per proteggere la mia famiglia. La chiamerò per venirmi a prendere quando, se, starò bene. Qui però il cellulare non prende.»

«Non è solo qui. In due giorni la situazione è precipitata. Ho preferito scappare.»

«Ma io ho lasciato i miei figli da soli, i miei genitori… devi riportarmi a casa!»

«Non mi sembra l'idea migliore. E comunque sono senza benzina. Non c'è niente che possiamo fare se non aspettare tentando di sopravvivere.»

«Per fortuna che sei qui…»

 

Ho portato cibo che dovrebbe bastare per un mese tra pasta, scatolette, frutta secca e verdure di ogni tipo che congeleremo dopo la cottura, ammesso che la corrente elettrica non ci abbandoni. Col gas siamo a posto, abbiamo tre bombole quasi piene. E poi c'è la legna: il bosco è a disposizione. L'acqua? Se si interromperà ci saranno i ruscelli di montagna.

Passiamo tutta la serata a progettare la nostra sopravvivenza. Angela sembra stare bene: porta sempre gli occhiali da sole anche in casa, ma l'aggressività sembra sopita. Decidiamo comunque che è meglio dormire in stanze separate.

 

«Chiudimi a chiave. Non so cosa potrebbe succedere di notte.»

 

Acconsento con riluttanza: avrei voluto dormire con lei, ma il buon senso ha il sopravvento. Il silenzio di questo posto ha un profondo effetto calmante rispetto alle urla della città. Mi sento al sicuro e mi addormento come un sasso.

 

Sono svegliato da un rumore di spari. No non sono spari, è la vicina che picchia sul muro, no non può essere la vicina, non c'è più nessuna vicina, è qualcuno che vuole entrare, no deve essere Angela, è Angela che picchia sulla porta della stanza in cui l'ho rinchiusa ieri sera!

Questa consapevolezza mi fa riacquistare la lucidità in un istante. L'adrenalina va a mille, salto giù dal letto, afferro la sedia come un domatore di leoni e corro a vedere se è già impazzita, se sta spaccando tutto e si è liberata, pronta a saltarmi addosso e fare brandelli del mio corpo. Ma la porta della sua stanza è ancora chiusa da fuori.

 

«Angela, Angela, cosa succede?»

 

Nessuna risposta, i colpi continuano ma non sono sulla porta, sono sulla finestra e la stanza è al piano terra! 

 

«Angela smettila! Stai calma!»

 

Infilo il cappotto ed esco in pantofole per cercare di bloccare la finestra dall'esterno. Afferro un pezzo di legno a forma di cuneo ma mentre mi avvicino la finestra si spalanca e Angela salta fuori urlando, in pigiama, il volto stravolto da una smorfia agghiacciante che non pensavo potesse mai comparire su quel viso angelico.

 

«Lasciami! LASCIAMI ANDARE!»

 

Dalla sua posizione rialzata riesce a saltare su di me buttandomi a terra. Il suo corpo minuto sembra dotato di una forza sovrumana. Non riesco a trattenerla, Angela corre via lungo la strada, ubriaca della sua furia.

 

Cerco di correrle dietro. La luce della luna mi consente di non perdere di vista quei capelli così biondi sul pigiama chiaro. Ma c'è qualcun altro! Tre figure avanzano verso di lei, prima incerte, poi spedite, spinte dalla stessa furia ubriaca. Si schiantano in tre contro una, la buttano a terra, la sovrastano, la calpestano, la graffiano, la mordono, ma la MIA furia non è affatto ubriaca e con tre colpi di badile tramortisco gli assalitori. Con il cuore in gola controllo il corpo di Angela. E' viva! Non ha subito gravi danni forse, nessun morso in punti vitali. La prendo in braccio e la porto a casa il più velocemente possibile.

 

Il divano la accoglie silenzioso. E' svenuta, insanguinata, sporca di bava e di fango. Le tolgo i vestiti che butto nel camino appena acceso. Con un panno umido pulisco il corpo, con l'acqua ossigenata disinfetto le ferite. Vederla in queste condizioni mi fa male, il suo corpo splendido violato. Il camino crepita illuminandola di una luce effimera. Mi siedo per terra, la mia testa sul divano, e mi addormento di un sonno agitato.

 

Mi sveglio che è buio, il camino spento. Sono sdraiato sul tappeto. Guardo su e vedo lei che dorme. Bellissima. Ammiro il suo corpo nudo dai piedi alla testa, soffermandomi su tutti i particolari. Ha un nuovo odore, invitante. Bacio delicatamente ogni centimetro della sua pelle e il desiderio sale. La mia lingua percorre il suo corpo. Non posso resistere. Il collo. Mordo il collo con tutta la passione e il desiderio e la fame che sento dentro di me! Lei si sveglia urlando, sento il sapore del suo sangue, buonissimo, che mi fa mollare la presa. Mi afferra la testa, mi guarda con occhi pieni di desiderio, poi si attacca al mio collo nello stesso modo, inesorabile, inderogabile. Sento che le piace, sento che mi piace. Ci nutriamo l'uno dell'altra in un abbraccio di amore mortale e siamo di nuovo noi due, il mondo fuori.

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