Aquilino mi squadrò dalla testa ai piedi, la soggezione appariva inequivocabile tanto da farmi impallidire. Ciò mi venne fatto notare dalla professoressa di francese tant’è che stava quasi per offrirmi un bicchiere d’acqua. Rifiutai, non ne avevo bisogno.

«Secondo me una spada di luce ha attraversato il cranio del maturando!», cominciò Aquilino a stuzzicarmi col suo tipico show.

Non risposi e mi limitai a ondeggiare gli occhi.

«Mi sveli un tuo arcano segreto? Come mai durante le lezioni eri sempre sprovvisto di calcolatrice?», mi chiese con fare curioso.

«Ecco io… per gli e-esercizi u-usavo sempre il c-computer dell’aula q-quando si p-poteva.», gli risposi balbettando e con lo sguardo rivolto verso il basso.

«Eh, beh certo… tu o vai in Lamborghini o vai a piedi!», ironizzò.

Il respiro del sottoscritto a seduta stante si fece affannoso.

«Non ansimare, non siamo mica in un film porno!», continuò l’insopportabile insegnante sempre più pungente. Feci un profondo respiro e cacciai buona parte della tensione accumulata, peraltro realizzando che non dovevo permettere ad Aquilino di stroncarmi senza nemmeno cominciare l’interrogazione.

«Conosci l’Algebra?» mi domandò ancora e io gli risposi con un tentennare incerto.

«Affrontare l'Elettronica senza conoscere l'Algebra è come andare in discesa con una bicicletta senza freni, lo sai, vero? La discesa prima o poi finisce…».

In men che non si dica mi indirizzò verso la lavagna. Mi chiese la formula di un teorema che studiammo in classe circa due mesi prima. Feci scena muta e, avvilito com’ero, strinsi forte il gesso che tenevo in mano.

Il prof sbuffò scocciato e agitò le mani in aria :«A quale cosca appartieni? Te lo dico io: a quella dei Senza Cervello! Posa il gesso e andiamo avanti!»

«Aspetti professore, mi faccia fare almeno un tentativo!» manifestai come folgorato da un’idea.

Scrissi una formula e il professore di Elettronica fece cenno di no con l’indice.

«Questo è un discorso che puoi impostare seduto al tavolino di un’osteria dopo la decima birra a doppio malto e a quel punto tutto ciò che dici va bene!», puntualizzò con immancabile ironia.

L’interrogazione stava procedendo per il verso sbagliato e la mia rassegnazione fece capolino di botto.

«Il cervello umano non è un optional. Non è come l'airbag o l'aria condizionata in una macchina. È di serie, ricordatelo!»

Abbassai lo sguardo sempre più desolato e fu Romano Alberti il professore di Educazione Fisica a prendere le mie difese.

«Collega, il ragazzo è chiaramente emozionato, non ti sembra che stai un po’ esagerando?», osservò pacatamente.

«Va bene, visto che l’alunno ha i neuroni avvolti nella Gazzetta dello Sport a questo punto lo invito a scegliersi un argomento a piacere.», sentenziò, capì sia l’antifona di Alberti e sia che in Elettronica fondamentalmente non sapevo un acca. O quasi.

Rimasi colpito, la decisione di Aquilino si rilevò un’ancora di salvezza anche se temevo che l’argomento a piacere potesse risultare improponibile. Mi feci coraggio e puntai sul classico "o la va o la spacca".

«Professore, le posso parlare delle Leggi di Kirchhoff?», proposi con nonchalance.

«Le Leggi di Kirchhoff ? Questo è delirio puro, l’abbiamo studiato nel secondo anno e noi siamo nel quinto!» esclamò il docente a gran voce.

Ci furono alcuni istanti di silenzio.

«Marco, sei stato proprio tu a lanciare la proposta, adesso non ti puoi più tirare indietro», gli ricordò il buon Alberti, una persona eccezionale che stimavo infinitamente e che durante gli anni di scuola mi aveva sostenuto in diverse occasioni. Persino quel giorno degli orali si dimostrò un valido alleato.

Aquilino, chiaramente indeciso sul da farsi, si mise a tamburellare con le dita sul banco.

«Ho l'impressione che l'atmosfera di fine anno abbia risvegliando in me un buonismo che non sapevo di avere. Va bene attacca!», mi disse dopo avermi lasciato un pochettino in suspense, acconsentendo così alla mia richiesta.

Avendo buona memoria dell’argomento, parlai per un tempo indefinito, sembravo un fiume in piena. Esposi che le Leggi rappresentavano le due relazioni connesse per la conservazione della carica e dell'energia nei circuiti elettrici per poi passare ad altre fondamentali nozioni.

Ad un certo punto il professor Aquilino mi fece cenno con la mano di fermarmi e proclamò che poteva bastare.

Finii l’esame, assai sudato ma felice. Mi sentivo il diploma in tasca e per di più con un voto finale di tutto rispetto in base a dei personali pronostici legati agli esami scritti e quelli orali andati correttamente. Per non parlare dei punti di credito formativi accumulati, ovvero la recita scolastica del quinto anno, con una soddisfacente interpretazione di Don Raffaele della celebre commedia “Non ti pago!”, un corso di disegno e un corso di giornalismo, frequentati entrambi assiduamente.

Sbagliai i calcoli, confermando in toto di quanto in matematica fossi una frana e di quanto furono traditrici le mie alte aspettative.

 

Nelle settimane seguenti uscì l’esito finale. Ebbi la promozione però con uno scialbo 68! Il minimo era 60, sotto quella soglia si veniva bocciati.

Ci rimasi male, aspiravo almeno a un 80 che tra le varie cose avrebbe ripagato gli innumerevoli sacrifici sostenuti nel quinquennio. Indubbiamente la votazione fu pregiudicata da ciò che non ero andato bene e allo stesso tempo ammisi alcune mancanze, dal momento che lo studio nel periodo pre esame fu gestito senza applicarmi più di tanto.

Mentre mi stavo avviando delusissimo all’uscita della scuola, incontrai il professore di Elettronica che, dopo esserci salutati, mi appioppò le sue ultime parole famose prima di non vederlo mai più: «L'esame di maturità è come una grande cagata: dopo che l'hai fatta ti senti meglio! Non è così caro Scilipoti?»

Annuii poco convinto, non sapevo che dire. Ci stringemmo la mano e mi augurò buona fortuna nella vita.

 

"Una grande cagata" disse? Infatti sono uscito con un 68 di… MERDA!!!

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