Il risveglio della domenica mattina era spesso caratterizzato dal profumo dolce e intenso delle prelibatezze che Margherita e la nonna erano intente a preparare. Dalle sette!

Sembravano, a volte, pranzi infiniti.

Il primo piatto col sugo e la carne, la frittura di pesce, enormi crocché, patate fritte e quant'altro. Per finire con gli enormi dolci della famosa pasticceria della zona, situata proprio di fronte al palazzo.

Il sugo classico era, chiaramente, il ragù!

Passato e concentrato di pomodoro che pappiavano (2) con almeno tre tipi di carne diversi per ore.

 

E come dimenticare la genovese: chili di cipolle che letteralmente si scioglievano per la lunghissima cottura con la carne.

 

Per inciso, pare che a Genova non conoscano affatto questo piatto.

Forse il nome derivava dalla consuetudine che avevano i marinai imbarcati sulle navi mercantili provenienti dal capoluogo ligure di pranzare presso le locande del porto di Napoli.

Era un piatto economico (tutto fatto di cipolle, la carne sarebbe arrivata in seguito) e sostanzioso.

 

Un piatto per i genovesi, alla genovese.

 

Il famoso balcone della camera matrimoniale dominava la strada e ci mostrava tutta la vita che vi si andava svolgendo e annidando, con il passaggio di misteriosi individui che a noi sembravano personaggi di racconti fantastici.

Il venditore di jammarielli (3), piccolissimi, sembravano appena nati, che erano portati in un contenitore di rame issato sulla spalla. Lui dava il grido e li serviva, giustamente crudi, con una spruzzata di limone sopra un foglio di carta oleata. Erano una prelibatezza!

Il carretto con la ricotta di fuscella (4) che era servita, giusto un tocco, in un mezzo panino, specialmente in estate.

Il tarallaro (5) senza età e senza denti, con il suo cesto di prodotti appena sfornati (o quasi!), sembrava un eroe uscito da una favola d'altri tempi.

Lo scrivano imperterrito e imperturbabile che continuava a scrivere, con la matita, nomi, numeri, cerchi sulle mura degli edifici, sulle serrande dei negozi o sui pochi e vari manifesti pubblicitari.

 

Dall'alto del nostro primo piano si dominava anche il traffico di auto (non molte, ancora), filobus e tram che arrancavano sulla salita e si dirigevano al Vomero.

E ancora.

Durante la Festa di Piedigrotta si vedevano salire i Carri allestiti per l'occasione, che si dirigevano alla Grotta e noi, dal balcone, lanciavamo coriandoli e stelle filanti.

 

- Si, va bene, ma a te, cosa succedeva? -

Ah, sei tornato!

Ora ti spiego!

 

Dunque, le prime due classi delle elementari nella Scuola delle suore nel Rione attiguo al nostro, le altre tre nella grande Scuola che si trovava vicino casa.

In entrambi i casi Margherita mi accompagnava, ma, specialmente dalle suore, non ero molto contento di andare.

Mi preparava la brioscina (6) con la cotognata (di cosa fosse fatto quel rettangolo molle e dolciastro è sempre stato un mistero per me) o con la barretta di surrogato di cioccolato (?).

Tutto a dieci lire al pezzo.

 

Spesso all'uscita, verso i dieci anni, si giocava con i compagni di classe al pacchero (7) sulle figurine dei calciatori (che uscivano dalle barrette di cioccolato): chi riusciva a farle girare con uno schiaffo rivolto alle figurine un po’ arrotondate, poste sul selciato o sul marciapiedi, le vinceva.

Oppure si puntava un coltellino dalla lama corta, fornito dal venditore di fichi d'India, sul frutto ad altezza di occhi: se riuscivi a centrarlo e a sollevarlo senza farlo cadere te lo sbucciava e lo mangiavi.

Ancora la mitica spuma, un bicchiere di liquido marroncino che l'acquaiuolo (8) ti faceva sembrare evanescente (perché ricco di seltz): anche di questo è sempre stata misteriosa la composizione.

 

In quinta elementare ho un "problema" in classe con la parola ululato: è l’inizio di ciò che mi accompagnerà per tutti gli anni a venire.

È stato ed è, in fondo, il vero “problema” della mia vita.

 

Si arriva alle Medie.

La prima nella famosa scuola del quartiere. Non fu proprio un'esperienza esaltante.

Una mattina, chissà perché, ci si ritrovò, quasi tutta la classe, a non entrare a scuola.

Ci videro, dalle finestre, insegnanti e Preside.

Risultato? Un bel 5 in condotta e bocciato a giugno.

Il successivo anno scolastico sarebbe arrivata la riforma della Nuova Scuola Media e, per fortuna, addio al Latino obbligatorio.

Ripetei l'anno in un'altra scuola, un po’ più distante da casa, ma andavo e tornavo da solo.

I compagni di classe mi sembravano molto più grandi per la loro età o ero io che mi sentivo più piccolo di loro.

Comunque, sempre promosso.

Ricordo che all’esame di Licenza Media, già interessato ai numeri, l’insegnante mi fece dimostrare il Teorema di Tartaglia. Pensa un po’…

 

Verso i dodici anni arrivai alla storica Cesarea, gioia e dolore dei successivi dieci anni, dove ho vissuto e maturato la giovinezza scolastica e il periodo pre-lavorativo.

 

- E la casa di via dell'Infrascata? -

Sì, hai ragione.

 

Lasciammo la grande casa nell'aprile del 1965, per andare ad abitare all'ultimo piano (il nono) di un edificio poco distante, appena ricostruito sulle macerie della Guerra.

Era altrettanto grande e aveva un panorama a 360 gradi.

 

Allora, hai sentito tutto?

Bene, ho finito. Questa è la storia della "grande casa di Via dell'Infrascata".

 

 

 

2) Bollivano lentamente

3) Gamberi gentili

4) Ricotta molto fresca prodotta in  Campania

5) Venditore ambulante di taralli

6) Piccola brioche

7) Schiaffo

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