Con questo racconto ho partecipato ad un concorso di scrittura sul tempo di guerra nella provincia di Firenze, per questo è scritto in vernacolo

Vai ci risiamo.

Arrivano in tre o quattro briachi fradici. Salgan su dalla strada di dietro, quella che passa dall'orto, per non farsi beccare dalla pattuglia, c'è il coprifoco, ma tanto fanno un baccano che li sento arrivà da quando sono ancora nella selva.

Ci ripenso a quando ero bambina, che s'andava con la mi' nonna a far gli erbi, dalla selva al sentiero morto alla fonte e da li ci s'arrampicava su pel greppo, perché certe piante volevano l'aria più asciutta, mentre altre quella umida e fresca della gola.

E la sua voce acuta e aspra che aveva, l'avevan chiamata Nonna Taglia, perché con quella lingua tagliava più d'un coltello eppure con me era tanto bona... “Piglia quest'erba, che ci si fa l'impiastro per l'Annina... Piglia quella che ci vien bene a curar la tosse cattiva a Giannone... Raccatta quelle che si seccano e quest'inverno si mettan nell'infuso!"

Quante volte abbiam fatto quella strada insieme: ero piccina da principio e lei m'aiutava a salire e scendere... Quando 'un ruzzolavo giù! Che scivoloni e quante sbucciature! Lei rideva e mi raccattava come fossi un sacco, mi rimetteva in piedi e mi levava di dosso i pruni e le foglie. Poi mi curava i graffi alla meno peggio e si tornava a casa cantando i cinguettii degli uccelli. Proprio così, non c'erano parole, solo versi, s'era felici e si rideva tanto.

Bei tempi, sì. La gente saliva su dalle case per farsi dare le cure e ci portavano ova, polli, pane, verdure dell'orto, un ci mancava nulla, tanto che capitava che la nonna curasse senza farsi dare nulla per contro o che venisse da noi qualcuno che il prete non accoglieva.

“Quel che il prete un vòle, Nonna Taglia raccatta!” dicevan tutti e il prete ci sformava ma stava zitto. E gli meritava: la nonna gli portava di soppiatto un intruglio strano che faceva di nascosto a tutti e teneva chiuso a chiave in uno sportello. Quando lo preparava voleva sempre star sola e dopo la sua stanza puzzava di muffa. Lei, tutta scura in volto, prendeva il fagottino e andava via di buio, giù per la strada davanti, quella che passa vicino alla chiesa. Tornava sempre tardi, io un la vedevo mai rientrare e la mattina dopo la su' lingua tagliava anche di più. Poi si lavava le mani e ricominciava a fare le faccende solite, tra le pentole e i mastelli. Non gliel'ho mai chiesto a che servisse ma delle volte il prete stava male e poi aveva la pelle tutta butterata e piena di verruche.

Poi il prete vecchio morì e quello novo fece danni peggio della grandine. Non ci voleva nemmen vedere per la strada, diceva che s'era streghe e si faceva i malefici, che era colpa della nonna se il vecchio prete era morto, che gli aveva messo in corpo il fòco del dimonio e quel poveromo era morto col diavolo a tormentallo nel sonno eterno. Io ero digià ragazza e sentivo quello che diceva la gente, che il prete di prima quando era giovane si divertisse colla Nonna Taglia e lei gli aveva fatto un sortilegio, che lui s'era ammalato senza più guarire, che alla fine c'era morto.

Insomma, nessuno più veniva da noi, il prete nòvo faceva arrivare un dottore dalla città che dava le medicine colla benedizione della Chiesa e tutti eran più contenti. Allora siccome un s'aveva altro, si principiò a farsi il pane di farina di castagne, a mangià nespole e albatre, anche a catturà qualche lepre ogni tanto, ma alla nonna gli dispiaceva ammazzà le bestie, poi diventava anche vecchia, così vecchia che alla fine s'allettò, un inverno, senz'arriva’ alla primavera.

Feci la strada della selva di buio, per andare a chiamà Francesco della Gianna, che m'aiutasse a spostalla e fare una buca per seppellilla. Di andare in chiesa, un ci pensai nemmeno, con quel prete cattivo che masticava amaro tutte le volte che m'incrociava. Nemmen si fosse fatto qualcosa di male a qualcuno, noi. Ma un s'andava in chiesa, sicché gli si stava antepatici e si poteva anche morì senza sepoltura col crisma.

So stati tempi tristi, s'era sempre sole, men che quando il medico condotto un c'azzeccava colle medicine le mamme tornavan su alla zittina per la strada della selva a portammi i bimbi tutti infagottati e tremanti dalla febbre, pur di non vedelli morì. Però certe cose un ce l'avevo sempre pronte, ora che la nonna un c'era più a fammele preparare, sicché mi dovevo ingegnà con quel che c'era sul momento.

Tutti i racconti

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