«Tutte le vorte che sei venuto a visità Roma, so’ convinto che nun hai mai visto un posto da film horror»

«Sì, ho visto l’immondizia per strada»

«Che cazzo dici Mimmo, perché a Genova nun ce l’avete?»

«Montagne così ancora no»

«Esagerato, sei un fregnacciaro, mo’ ce penso io»

I due amici, Aldo e Mimmo, appena scesi dalla metropolitana si dirigono verso via Veneto

«A Piazza Barberini ci sono stato, bei monumenti, ma niente di strano»

«Dici? Continua a salire»

«C’è la fontana delle Api, quella commissionata da Urbano VIII Barberini al Bernini, poi distrutta ad inizio ‘900 e fatta ricostruire. La conosco, anzi, visto che ci siamo, ne approfitto per bere»

«Vabbé, bevemo, ma nun intendevo quella, te vojo portà in chiesa»

«Un'altra? Le ho viste tutte ormai»

«Questa no, sennò te la ricorderesti»

«Perché?»

«Poi lo capirai, continua a salire»

«Eccola, dobbiamo entrare?»

«Grazie ar kaiser, che voi rimané de fori a chiede l’elemosina?»

Arrancando affrontano la ripida scalinata ed entrano, l’ambiente fresco è gradevole per loro che vengono dal caldo di una Roma estiva.

«Questa è Santa Maria della Concezione, l’ha fatta costruì nel ‘600 Urbano VIII, la parte superiore te la faccio vedé dopo, adesso andiamo nella cripta»

Entrano da una porticina, scendono le scalette e si trovano avanti una montagna di teschi, tibie, femori, tutti perfettamente disposti, poi dei lampadari fatti con le ossa, molto artistici ma spettrali.

«Cavolo, una cosa del genere l’avevo vista solo in Umbria»

«Vero, a Ferentillo, lì ci sono anche corpi non decomposti, te la ricordi la scritta all’entrata? “Oggi a me, domani a te, io fui quel che tu sei, tu sarai quel che io sono, pensa mortal, che il tuo fine è questo, e pensa pur che ciò sarà ben presto”»

Anche Mimmo continua: «“…io fui quel che tu sei, tu sarai quel che io sono, pensa mortal, che il tuo fine è questo, e pensa pur che ciò sarà ben presto”»

Hanno alzato un po’ troppo la voce, si sente qualcuno che da lontano fa un verso per zittirli

«Che tte strilli? Se dovemo sempre fa riconosce»

«Hai iniziato tu!»

«Vabbé, nun famo li regazzini»

«Comunque in Umbria è peggio, sono rimasti mummificati nel momento della morte, te li ricordi i due cinesini in viaggio di nozze…»

«…er campanaro caduto de sotto cor collo spezzato…»

«… la mamma col ragazzino appena partorito…»

«Già, lì forse è peggio, capisci veramente er significato de”ultimo attimo de vita”, poco prima giochi co’ l’amici e poco dopo è tutto finito, vedi l’erba dalla parte delle radici, qui è freddo, nun te da la sensazione della mancanza della persona»

«Mamma mia come sei filosofico, conoscendoti mi stupisco che non stai toccando ferro»

«Perché? Nun te ne sei accorto che c’ho ‘na mano in saccoccia? Me sto’ a grattà li cojoni»

«Ma smetti, può entrare qualcuno»

«Chi voi che viene? Li turisti nun la conoscheno, li romani la vedono ‘na vorta da regazzini, poi je stanno alla larga, è tutta pe’ noi»

«Comunque ha una bellezza particolare, hai fatto bene a portarmici, mi piace!»

«Fatte servì, li conosco tutti i posti strani»

«Usciamo, mi sta prendendo un attacco di claustrofobia»

«Nun lo voi vedè er museo?»

«No, stavolta passo, usciamo, non respiro»

L’ultima parola non riesce a finirla, casca a terra, Aldo prova a soccorrerlo,  poi si alza e risale per cercare qualcuno.

«Ahò, me date ‘na mano, l’amico mio ha sbiancato, lo portamo all’aria aperta»

Un prete s’avvicina.

«Alzatelo, portiamolo in sacrestia, ho la fontanella con la stessa acqua dell’ape e del Tritone, quella che arriva dall’acquedotto Felice, fa i miracoli»

Aldo e due turisti sollevano l’uomo di peso e lo riportano di sopra, il prete, Don Evandro fa scorrere l’acqua dal rubinetto finché è bella fresca, prende un bicchiere, lo riempie e lo porge a Mimmo che lentamente cerca di abituarsi alla temperatura glaciale dell’acqua.

«Buona, ma così mi prende una congestione»

Aldo ridacchia «Tranquillo, zì prete te da l’estrema unzione e vai dritto dritto in Paradiso»

«Stupido! Adesso sto meglio»

«Ringrazia che nun t’ho portato nelle catacombe, lì te ce lasciavo direttamente»

«È un attacco leggero, non ti preoccupare, mi capita pochissimo»

«Vabbé, mo’ potemo uscì, così nun damo ingombro al sor prete»

«State tranquilli, qui viene poca gente a quest’ora, giusto qualche vecchietta, anzi, una pia devota ieri mi ha portato una torta fatta da lei, mi fate compagnia?»

«Torta di limone? La fa pure mì madre, io so’ quarant’anni che je frego la crema prima che l’inforna, ce faccio la scarpetta co’ ‘na rosetta»

«Ecco perché ingrassi, con tutto quel lievito che ingurgiti. Ma non ha un saporaccio?»

«Stai a scherzà? È divino!!»

Don Evandro ritorna con un vassoio argentato in cui ha messo dei piattini con una fetta di torta ciascuno, poi prende del rosolio da dentro un’anta di vetro e lo serve in bicchierini antichi «Mi tocca far tutto da solo, a quest’ora la perpetua sta a casa sua»

«Nun vivono più in parrocchia?»

«Noo, costerebbe troppo, mi da solo una mano per le faccende domestiche e mi porta il pranzo da casa, sta un’oretta ed è tutto»

«Ma che pure voi c’avete la crisi? S’imbertano tutto i Cardinali? Fate la rivoluzione, “El clero unito, jamas serà vencido!” gajardo!!»

«Vi devo fare un discorso che nin è razzista, anzi, è proprio un discorso fiscale. Se un’italiana mi da una mano è solamente una devota che aiuta il parroco gratis, se invece è un’extracomunitaria, avrei delle grane perché sembrerebbe che la stessi sfruttando, “La chiesa non è dalla parte dei poveri” ma noi abbiamo solo i soldi delle mance, pochi spiccioli»

«Je l’ho detto zìpré, qui ce vole er sindacato»

«Ce l’abbiamo, ma il nostro datore di lavoro è il Papa, ha sempre ragione lui»

«Me sta a diventà comunista, zìpré?»

«Il Signore la perdoni! Ma è impazzito»

«Non ci faccia caso Padre, è buono solo a dire cose senza senso»

«Vabbé, lasciamo perde, visitamo er museo?»

«No dai, lasciamo perdere, voglio uscire, così togliamo il disturbo a Don Evandro»

«Ve l’ho detto, non ci sono problemi, comunque tornate a trovarmi quando volete»

«A Sor prete, lo sa’ benissimo che noiartri romani nun bazzicamo le chiese del centro, mentre lui è di Genova, tornerà chissà quando»

«Peccato, è bello far due chiacchiere ogni tanto, tenete»

Il prete tira fuori da un cassetto due rosari un po’ particolari.

«Questi sono fatti per ricordare il luogo, da sgranare ci sono dei piccoli teschi, vanno molto, me li fa “La casa del Rosario”»

I due amici ringraziano ed escono, il sole esterno, sempre cocente, li riporta alla realtà

«Che caldo! Non hai qualcos’altro da vedere di fresco?»

«Vabbé, un posto che conosci bene, però è la cosa migliore a quest’ora, andare a Fontan de Trevi e prennese ‘na chilata de pizza, così se levamo ‘sto sapore de sagrestia»

«Una volta tanto ti devo dare ragione, la torta era buona, ma la pizza, come dite voi… “Nun se batte!”»

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