«Allora, che sta succedendo?» chiese Don Calogero sistemandosi il lungo cappotto nero aiutato da Carmine.

«Uno dei nostri ragazzi, ha notato uno strano movimento all’autorimessa di Tudesky» disse il giovane chiudendo lo sportello dell’auto e andando a sedersi al lato del guidatore. 

«Pare che anche quell’agente dell'FBI, O’ Grady, stia girando attorno alla rivendita da un paio di giorni e oggi non è da meno...» proseguì Carmine avviando il motore della Bentley del Padrino di New York.

«Patrizio!» esclamò il Don con un ghigno divertito «è da anni che mi sta col fiato sul collo, senza avere uno straccio di prova. Per fortuna c’è ‘Sully’ che ci tiene informati...» concluse il Boss sistemandosi meglio sul sedile.

 

‘Sully’ ovvero, Robert Sullivan, è un poliziotto che ha contatti un po’ ovunque, sia dentro che fuori la polizia. È sul libro paga del Boss da qualche anno ormai; da quando si era rivolto a Don Calogero, chiamandolo ‘Zio’, sapeva che questo era l’appellativo col quale le persone si rivolgevano a lui per avere dei favori o per chiedere aiuto; Robert, chiese al Padrino una mano per catturare dei teppisti che si erano divertiti a pestare suo figlio Dean di 15 anni, fino a ridurlo su una sedia a rotelle, bloccato dalla vita in giù. ‘Sully’, si era rivolto allo ‘Zio’  perché aveva scoperto che quei ragazzi erano degli insider dei Colasanti, una delle altre quattro famiglie italiane che si erano divise il controllo di New York. Insieme a loro, oltre ai Lo Iacono, c’erano i Cosentino, i Madoro e infine i Tarantini.

La polizia aveva le mani legate e non voleva immischiarsi, Ruggero Colasanti era una amico intimo del sindaco, perciò l’unica cosa che Robert Sullivan ottenne dai suoi colleghi e dal suo capo fu una pacca sulle spalle e un ‘mi dispiace’ sussurrato, così si rivolse a Don Calogero, che sistemò la faccenda. Dei ragazzi non si seppe più niente, solo che la loro unica posata era diventata una cannuccia.

Riconoscente fino alle lacrime Robert, come da accordo, offrì i suoi servizi alla famiglia Lo Iacono come spia all’interno del dipartimento di polizia.

 

«Abbiamo sentito anche Sully!» riprese Carmine svoltando a sinistra.

«Ah! E che dice il buon Robert?» chiese Don Calogero.

«Pare che O’ Grady, si stia comportando in modo strano, voci di corridoio dicono che abbia perso fiducia nel sistema e nella giustizia, secondo una fonte di Sully, pare... stia chiedendo il pizzo ad un povero cristo...» spiegò il giovane.

«Ah! Patrizio, mi cadi così in basso!» esclamò Boss alla notizia. «Ma! Ad ogni modo, pensi che ora si farebbe corrompere? Potremo fargli un’offerta vantaggiosa, no?» si informò il Don.

«Chi? A O’ Grady... Scherzi!? A quanto sostiene Robert, O’ Grady ti odia a morte. Ma... che gli hai fatto per avercela tanto con te?» chiese incuriosito Carmine.

«Quanto manca? A ‘ndu stà stu cazz i postu?» chiese Don Calogero cambiando discorso.

«Ok, Pap! Tieniti i tuoi segreti; ti conosco bene... Ma sappi che non finisce qui» disse Carmine lanciando un dolce sorriso al padre, appena lo vide, fece finta di guardare lo specchietto retrovisore che si trovava al suo lato, certe scenette da quadretto familiare imbarazzavano il Boss.

Poi, senza togliere lo sguardo dalla strada aggiunse:

«Uno di questi giorni, ti racconterò  di questa storia...»

«Ci conto...» rispose Carmine svoltando con la Bentley in un vicolo scuro a pochi metri dall’autorimessa di Jimmy ‘Frank’ Tudesky.

 

Don Calogero e Carmine arrivarono davanti al cancello dove erano parcheggiate tutte le macchine in vendita, sul capannone si vedeva un cartellone pubblicitario voluto da Frank: una gigantografia stile anni ‘70 di Tudesky con indosso un casco da astronauta, mentre guidava una macchina e un fumetto che diceva: “With our cars, u can go on Mars!” - Con le nostre auto, potete andare su Marte.

«Ma che cazz...! No, non ci posso credere! Ma che è sta roba?» disse Carmine osservando inorridito il cartellone pubblicitario.

«Altro che Marte. A Morte, lo manderei, solo per questa stronzata... Ma dimmi tu... Senso per gli affari, zero...» commentò il giovane sottoboss.

 

Davanti all’entrata trovarono Will Cicci Junior e altri due uomini fidati del Clan che tenevano sotto controllo la zona. Il Boss, chiese informazioni e i due uomini gli riferirono quanto sapevano mentre un terzo rimase in silenzio, restando con gli occhi ben aperti.

Cicci Jr. iniziò il suo rapporto:

«Un paio di giorni fa, Frank e Susan hanno portato una bambina nello stabile, poi l’hanno portata via, li abbiamo fatti pedinare e abbiamo visto che sono andati in un Motel qui vicino dove sono rimasti fino a qualche ora fa».

«Erano all’autorimessa, abbiamo visto Frank, fare una telefonata e poi a riportato Susan e la bambina al Motel, poi da lì è andato via e non sappiamo dove, dopodiché Susan a preso un taxi che l’ha lasciata in un altro Motel» aggiunse l’altro uomo insieme a Cicci.

«Circa un’ora fa» riprese Will «abbiamo visto l’agente O’ Grady fare un giro intorno all’isolato e poi andare via. Mezz’ora più tardi è arrivata Susan con la bambina, poi più niente fino ad ora...» concluse l’uomo.

«Ottimo lavoro garrusi» si complimentò il Boss.

«Grazie, Boss!» risposero i due all’unisono.

«Attenzione! Arriva qualcuno!» fece il terzo uomo di guardia.

Dalla loro destra arrivò un auto a gran velocità. Carmine, il Don e i tre uomini fecero in tempo a nascondersi dietro una macchina parcheggiata li vicino a loro, prima che i fari dell’altra macchina li colpissero.

La vettura si fermò davanti all’entrata della sala espositiva. Dal posto di guida scese un uomo che non conoscevano, passò davanti alla vettura e andò ad aprire lo sportello del passeggero, allungò il braccio all’interno dell’abitacolo e ne tirò fuori Frank che a mala pena si reggeva in piedi, pareva ubriaco.

«Che ore sono?» chiese Carmine.

«Quasi la mezzanotte» rispose Cicci Jr.

«Che facciamo? Entriamo anche noi?» chiese uno degli uomini di Don Calogero.

«Tenetevi pronti!» ordinò il Boss.

«No, aspettate!» li interruppe Carmine. «Prima vediamo che succede...»

Gli uomini si guardarono negli occhi, poi si mossero nel silenzio.

 

Santiago Montrés

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