Sto battendo la penna sul tavolo da ore.

Tic Tic Tic.

Avevo solo sentito parlare di questa sensazione di vuoto assoluta, prima di oggi. Una mancanza totale di idee, silenzio dentro la testa. Proprio quando ho più bisogno di dare forma ai desideri tante volte rimasti inespressi, a quei labili pensieri.

In questo momento la mia visione del mondo è bianca. No, nemmeno.

Bianco è il foglio, la superficie su cui devo posare le parole. Bianca è la luce, somma di ogni tonalità, opposto del vuoto incolore nella mia mente. Ciò che vedo è lo spazio di una tazza che attende di essere riempita.

Il tempo è scaduto.

Eccoli, stanno venendo a rendersi conto della mia incapacità. Non so cosa rispondergli. Non so davvero cosa scrivere.

«Sei pronto?»

«No. Potrei avere dell'altro tempo?»

«Siamo agli sgoccioli. Non preoccuparti se non hai fatto un lavoro perfetto. Nessuno riesce a programmare ogni cosa. Posso avere il foglio?»

«Ecco, io...»

Lo prendono dalle mie mani, non ho la forza di tenerlo stretto. Un battito di ciglia, lo sguardo sul foglio, su di me, di nuovo sul foglio. Poi si guardano tra loro, corrugando le fronti.

Che vergogna! Chiunque poteva scrivere qualcosa, una stupidissima frase, anche solo un nome, eppure non ci sono riuscito. Si allontanano confabulando mentre mi guardano. Scuotono la testa, incrociano le braccia. Cosa ne sarà di me? Come potrò avanzare se non sono stato capace di decidere?

Si avvicina il Maestro. Chiedono a lui. È grave. Mi guarda, ma non riesco a sostenere il suo sguardo, mi sento umiliato. Sento il peso dei suoi occhi. Sarà sicuramente arrabbiato. Mi sono messo in un gran pasticcio.

Forse mi darà ancora tempo. Non c'è altra soluzione. Siamo in ritardo, è vero, ma tutti i miei compagni stanno già partendo per le loro prossime vite. Sono rimasto solo, assieme agli anziani e al Maestro. Mi guarda di nuovo.

Viene verso di me e sorride. La sua aura mi avvolge calda e rassicurante.

«Ho un grosso dilemma» dice. «Non puoi proseguire in queste condizioni. D'altronde non posso farti indugiare oltre. Sei qui da molto, troppo tempo. A breve svanirai.»

Tremo. Vorrei piangere.

«Maestro, che posso fare?»

«Andrai comunque.»

Gli anziani non sono d'accordo. Potrei fare del male, dicono, ferire altri e allontanarli dalla luce. Senza un destino preordinato potrei percorrere la mia intera vita alla cieca, come un animale impazzito. Le loro parole mi feriscono, ma so essere la verità.

«No. Ce la farà. Lo aiuterò io. Partiremo insieme.»

Le proteste montano in vero e proprio sconcerto. Un'anima di tale rango e sapienza rischia di perdere tutto. Per me. Mi alzo.

«Non posso permettervelo! Mandatemi da solo!»

«Sei sotto la mia responsabilità. Se entri nell'ombra allora ho fallito. Se ti perdi ho fallito. Anche gli altri sono una mia responsabilità. Se diventi un pericolo per loro sono io ad averti aizzato. Non c'è altra via.»

«Che ne sarà di voi se vi perderete? Non siete preparato, non avete scritto nulla.»

Sento le forze che mi abbandonano. Le gambe cedono e mi ritrovo a terra, carponi. Mi gira la testa. Il Maestro mi accarezza e subito sto meglio. Mi porge la mano e mi aiuta a rialzarmi.

«Avrò te. Tu avrai me. Per partire ci serve solo un nome. Scegli il tuo, svelto.»

«Non mi viene in mente nulla. Ah! Perché non riesco?»

«Allora dirò il mio nome per primo, quello che ho scelto. Cerca di tenerlo a mente.»

Pronuncia un nome dolcissimo. Quelle poche sillabe fanno scattare in me qualcosa, un ricordo delle tante volte che ho osservato il mondo. Vedo un manto verde ricoprire una collina, le nubi sullo sfondo viaggiano veloci portate dal vento e si stagliano nel cielo. La primavera è sbocciata e ha riversato a piene mani i suoi colori più fulgidi. La mia vista si posa sopra un grazioso piccolo fiore, di un indaco che sfuma in violetto. Il suo profumo è delicato. Fresco.

Dalle mie labbra esce un suono, quasi un trillo. Ho scelto il mio nome.

Il Maestro sorride, mi accompagna alle porte del mondo.

 

Il vortice spaventa tutti, così ho sentito dire. Vedendolo capisco perché. Sembra rubarti il calore, l'amore. Atterrisce.

Il Maestro mi stringe la mano. Solo allora mi accorgo che sta tremando. Mi volto verso di lui e le lacrime mi rigano il volto. Anch'io stringo forte la sua mano. Vorrei sussurrargli “grazie” ma non oso aprire bocca. Le mie labbra fremono. Sorride, annuisce.

«Partiamo insieme. Così nasceremo, così resteremo finché non saremo abbastanza forti da camminare ognuno per la sua strada. Io sarò il tuo sostegno come tu sarai il mio, luce reciproca come guida nella notte. Sei pronto?»

«Sì.»

Facciamo pochi passi, e per qualche istante la gravità svanisce. Poi il vortice ci attrae.

Mi sento cadere.

 

Il freddo mi ghermisce, sono immerso nella luce e nel caos. Non è la luce calda che conoscevo. Mi strofinano addosso qualcosa, mi avvolgono mentre ancora tremo. Non riesco ad aprire gli occhi, bruciano. Sento suoni che non conosco, parole estranee.

Non sento lui.

Percepisco l'agitazione, qualcuno piange. Una donna.

Mi colpiscono, adagio. No, non voglio cominciare a vivere qui se non lo sento. Poi eccoli. I suoi vagiti.

Siamo arrivati assieme, ora so che possiamo continuare.

È il mio turno di piangere e respirare, prima di dimenticare quel che sapevo, prima di cominciare a imparare di nuovo.

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