“Eccone un altro.”
Il gruppo di ragazzi si diresse spedito verso quel mucchietto d’ossa e brandelli di vestiti, adagiato su un letto di cartoni logori.
“Dio mio, com’è conciato!” - e la smorfia sul volto di Fabio diceva tutto.
“Ci provo io.”
La Vale, si sa, era da sempre la più forte. Tre passi silenziosi, poi si accovacciò sulle ginocchia posandogli delicatamente la mano sulla spalla.
“Ciao amico. Io sono la Vale e vorrei aiutarti.”
Da sotto la coperta sbucarono due occhietti rossi e acquosi, appuntiti e spaventati.
“Non aver paura! Non ti mangio, sai? Voglio solo aiutarti.”
Gli sorrise.Lui la guardò e per un attimo sembrò tranquillizzarsi. Poi alzò leggermente la testa e rivolse lo sguardo al gruppo dei ragazzi, tre passi dietro.
“Sono i miei amici.”
“Andate via” tagliò corto lui, coprendosi di nuovo completamente con la coperta.
“Coraggio! Non aver paura! Siamo qui per te: abbiamo un letto pulito dove potrai dormire tranquillo, e un pasto caldo che ti aspetta.”
“Andate via.”
La Vale non voleva arrendersi. Cominciò nuovamente e con pazienza a tentare di convincerlo a seguirli alla casa di accoglienza. Ma non ci fu verso.
“Lascia perdere, Vale” – disse Fabio – “piuttosto chiamiamo un dottore: mi sa che è meglio”.
“Chiamo io” – propose Angelica prendendo il cellulare dalla tasca – “ho un amico medico di servizio su un’ambulanza qui vicino: l’ho visto arrivando qui.”
La corsa verso il pronto soccorso fu breve. “Aspettate qui” disse con uno strano sorriso l’infermiera alla Vale e a Fabio, e la lettiga fu inghiottita nelle viscere dell’ospedale.
“Che c’aveva da ridere quella?” domandò indispettita la Vale sedendosi in sala d’attesa.
“Boh…” bofonchiò Fabio, e stavolta il sorriso sembrava averlo lui. Ma la Vale era troppo stanca per polemizzare.
Dopo circa un’ora dalla porta di vetro che portava all’interno del pronto soccorso uscì un dottore.
“Siete voi i parenti del signor…” e prese a consultare la cartella per leggere il cognome.
“Non siamo parenti”- esordì timidamente Fabio, ma la Vale lo interruppe
“Sì, siamo noi” tagliò corto “Ci dica dottore: come sta?”
“Sta molto male. Ha la febbre alta, è disidratato: direi che è piuttosto grave. Dovremo trattenerlo. E speriamo bene…”
Andando via la Vale era sollevata. Tutto sommato era riuscita a togliere dal marciapiedi quel poveretto, e poi in ospedale si sarebbero presi cura di lui. Comunicò all’infermiera di servizio al desk di accettazione i suoi recapiti e poi si incamminò verso casa accompagnata da Fabio.
L’indomani, mentre la Vale era a lezione all’università, vibrò il cellulare.
“Pronto” sussurrò uscendo dall’aula, nell’indispettito corale disappunto di professore e allievi.
“Parlo con la signorina Valentina?”
“Sì sono io. Chi parla?”
“Buongiorno, la chiamo dall’ospedale Fatebene. Mi scusi se l’ho disturbata ma devo darle una brutta notizia: suo zio non ce l’ha fatta. E’ mancato pochi minuti fa”.
“Mio zio? Mio Dio!” le scappò, e si sentì subito in colpa dato che quello scarto consonantico, indubbiamente degno della migliore tradizione enigmistica le sembrò, in quel tragico momento, irresistibilmente comico.
“Mi dispiace molto, Valentina. Se vuol venire a ritirare gli effetti personali di suo zio…”
“Certo: arrivo”.
Provò a chiamare Fabio, ma il suo cellulare era irraggiungibile. Al solito: quando aveva bisogno di lui non era mai raggiungibile. E per di più si era dimenticato di farle gli auguri, dato che era il suo compleanno.
All’accettazione non la lasciarono neppure parlare: le consegnarono una busta gialla che la Vale prese dopo aver firmato una ricevuta, e andò via.
Arrivata a casa, posò la busta sul tavolo e si sedette. Era una strana sensazione: neanche dodici ore prima aveva accompagnato un perfetto sconosciuto al pronto soccorso e adesso era lì, con ciò che restava di quella povera vita in un bustone giallo, sopra il tavolo della sua cucina.
Mise il caffè sul fuoco e si decise ad aprire la busta. C’erano dentro una foto, probabilmente lo “zio” da giovane, una busta più piccola con pochi spiccioli, una chiave attaccata a un ciondolo e un post-it giallo con la scritta “Galileo”.
“Galileo, che nome buffo: nessuna persona normale si chiama Galileo” pensò la Vale componendo il numero di cellulare.
Squillava. Rispose una voce che sembrava provenisse dall’oltretomba.
“Pronto?”
“Buongiorno signor Galileo. Scusi se la disturbo: sono…”
“Chiunque lei sia, io non sono il sig. Galileo”
“Ah. E chi è allora Galileo?”
“E io che ne so?”
La Vale respirò profondamente. “Ha ragione. Provo a spiegarle con calma. Mi chiamo…”
“Lei ha la mia chiave, è vero? E’ per questo che mi chiama?”
“Non so se è la Sua chiave: effettivamente negli effetti personali del povero…”
“Senta: a me questi giochetti non vanno a genio.” La voce dello sconosciuto diventò aggressiva “Ho già avuto fin troppa pazienza. Ci vediamo questo pomeriggio alle 17.00 in via Fata Morgana davanti al civico 4. Non faccia scherzi e porti la mia chiave. Non provi a scappare: ho visto da che numero mi chiama. Venga e porti la chiave: in caso contrario se ne pentirà. Quando mi innervosisco posso essere molto pericoloso.”
“Ma lei non sa nulla di me: ha solo un numero di telefono!”
“Ne è sicura, Valentina?”
Riattaccò. La Vale era piuttosto confusa. Chiamò Fabio che, per fortuna, questa volta rispose.
“Pronto Vale?”
“Allora Fabio: lo zio è morto, ho chiamato Galileo ma non era lui, però era incazzato come una bestia e vuole la sua chiave oggi alle cinque.”
“Vale, ti senti bene?” chiese Fabio soffocando una risata.
“Se invece di ridere come un cretino venissi a darmi una mano a capirci qualcosa forse è meglio”.
“Arrivo”.
La narrazione degli eventi toccò punte di pura metafisica. Fabio, anche a causa della concitazione con cui la Vale parlava, non capiva chi fosse questo Galileo, ma nessuno poteva spiegarglielo, per la semplice ragione che nessuno lo sapeva. E poi voleva sapere di chi fosse quella chiave: se dello zio, di Galileo, o del signore che non era Galileo pur avendone il telefono.
La Vale giaceva tramortita sul divano, cosìFabio pensò che fosse il caso di rinunciare alla partita di calcetto con gli amici di facoltà, la qual cosa gli procurò non pochi insulti da parte dei compagni, per accompagnarla a questo misterioso appuntamento.
[ "Operazione Galileo" continua domani, 15/1]

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