La stazione è un ingorgo di vite diverse, un universo strano e affollato. Tutti camminano in fretta e neppure si guardano. Anzi, abbassano gli occhi se ti passano accanto, li lasciano vagare sul pavimento grigio, osservando le impronte degli altri. Se ascolti attentamente puoi sentire il rumore dei loro pensieri, è un ronzio sommesso, un suono blu elettrico che impregna ogni angolo.
Io e te navighiamo intorno a questo mare grigio e ci alziamo sopra i pensieri della gente. Io e te siamo diversi da questo oceano di persone tristi, diversi dalla fretta isterica di ognuno, da quelle maschere annoiate e vuote che ti scivolano accanto senza nemmeno guardarti negli occhi. Io e te siamo felici. La nostra è una felicità consapevole, non quella scossa di allegria immeritata che può capitare per caso, in un giorno qualsiasi, quando meno te l’aspetti. No. La nostra è una gioia tangibile, un vestito nuovo che ora indossiamo con gusto, percependone il tessuto fresco sulla pelle. Ci abbracciamo, trasportati da una scala mobile che per noi è un ascensore verso il paradiso. Siamo scesi dal treno della metropolitana tenendoci per mano e ridendo come due pazzi, tu hai ancora tra i capelli l’odore del vagone, un sentore di gomma mista a fumo e solitudine. Sei bellissima, mi accarezzi le guance regalandomi il più dolce dei sorrisi. Ti bacio e con le mani seguo la forma del tuo corpo. Il collo è sottile e morbido, le spalle magre. Il calore della tua pelle sembra invadere la mia, mi scaldi con la tua allegria colorata, mi culli e mi trasporti come un’onda. Attraverso i vestiti percepisco la rotondità di una vita appena cominciata. Sei incinta, entri nel quarto mese di gravidanza e ogni cosa è nuova per noi. Tutto sta cambiando, il tuo corpo ha cominciato a trasformarsi, a divenire una culla perfetta per accogliere il nostro bambino. Nessuno ci guarda, perché spesso il mondo è cieco davanti al miracolo di due persone abbracciate, davanti a una donna che sorride e riflette l’anima negli occhi di un uomo. Il mondo è cieco davanti alla novità di una vita che sboccia. Immagino una stella che pulsa solitaria nello spazio siderale. Sola e felice si espande, esplode e feconda di vita un universo gelido e buio.
Ho sempre desiderato fare il medico. Fin da bambino giocavo a curare le persone, immaginavo una stanza piena di letti e tanti pazienti avvolti da lenzuola immacolate. Dopo il liceo mi iscrissi alla facoltà di medicina. Ricordo gli anni di studio senza sosta, lontano da tutti, io e una torre di libri anonimi. Ricordo le ore chiuso in un’aula universitaria e il tempo che sembrava non passare mai, il mio cervello come una spugna secca, assetata di sapere. Terminati gli studi trovai lavoro nel Pronto Soccorso Ospedaliero della mia città. Ricordo perfettamente il giorno che entrasti nella mia vita. E come potrei dimenticarlo? Era una domenica di marzo e pioveva a dirotto. Mancava poco alla fine del mio turno, io pensavo al film che davano in televisione e alla pizza fredda che avrei mangiato più tardi. Arrivasti coperta di fango, il tuo viso era una maschera scura di sangue raggrumato e terra. Ti avevano trovato nel parco. Nuda, i vestiti strappati e gettati in un cespuglio. Eri cosciente e immobile. Ricordo che ti lavai il viso con una bacinella d’acqua tiepida che in un attimo diventò un brodo scuro. Il collega che era con me sentenziò la tua condanna, dopo aver parlato con un carabiniere.
«Aggressione. Sicuramente è stata violentata.»
Ti guardò come si guarda un oggetto rotto, con la stessa indifferenza. Anni di mestiere gli avevano insegnato a eliminare l’empatia e a mantenere il distacco, per poter intervenire con calma, senza dividere il dolore. Per me, invece, era diverso. Io soffrivo con te. In un attimo ingoiai la tua amara tristezza e diventai parte di quelle ferite che incorniciavano il tuo volto, di quei segni violacei sui polsi e sulle braccia. In un attimo diventai il tuo stesso dolore. Piansi amaramente, pensando a come la sfortuna potesse colpire a casaccio, come un assassino cieco che spara nel mucchio, senza sapere esattamente chi andrà a colpire.
Un maledetto destino aveva deciso per te. Ti eri trovata nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato. Uomini crudeli avevano attraversato la tua strada, decidendo che tu eri la preda più semplice da catturare. Pioveva e a quell’ora il parco era deserto. Nessuno aveva udito le tua urla, nessuno aveva assistito alla tragedia di un passero sbranato da un branco di lupi affamati. Così, senza motivo, una violenza bestiale ti aveva schiacciata e ricoperta di terra, quasi volesse seppellirti per sempre. Così, senza motivo, il passero era diventato il pasto di lupi senz’anima.
Precipito in te, nel tuo sorriso di latte e dolcezza, negli specchi trasparenti degli occhi. La nostra è una continua rinascita, un’evoluzione di energia. La tua voce mi culla e rinnova i pensieri. Hai accettato tutto, accogliendomi come un regalo. A volte ho la percezione che tu mi aspettassi da sempre, da prima che nascessi, da prima che si formasse l'universo. Il destino ha intrecciato i fili delle nostre esistenze come un tessitore abile, curvo sull’enorme telaio della vita.
Amarti è accettare ciò che sei, senza sconti o mediazioni. Amarti è comprendere le tue scelte. Osservasti a lungo quella grossa pastiglia bianca, rigirandola tra le dita e soppesandola nel palmo della mano. Quando ti portarono il farmaco che avrebbe interrotto una gravidanza non voluta, in un primo momento lo infilasti in bocca senza pensarci, ma qualcosa bloccò le tue azioni. Corresti in bagno a sputare quel boccone di veleno. Vomitasti odio e dolore, mentre un pensiero ti attraversava la mente come un lampo lucido. La vita che avrebbe potuto nascere non meritava la tua identica sorte. Anche lei sarebbe diventata vittima innocente di una violenza cieca e sorda, immune a ogni tenerezza. Anche lei sarebbe stata strappata alla gioia e gettata nel fango. No. Non avresti fatto lo stesso errore, non gli avresti riservato il medesimo destino. Forse quel figlio era già parte di te. Nato per un imprevisto terribile e osceno, che aveva mescolato la tua innocenza alla cattiveria folle di un branco di lupi, tu ne avresti salvato la parte più buona, ne avresti preservato la luce. Ti sembrò quella la scelta migliore, la sola azione possibile.
Sarò con te. Sarai con me. Per la gente che passa e nemmeno ci sfiora, per questo vorticare di anime che scivolano stanche, per chi non ha conosciuto la speranza. Per chi crede che la vita sia una scala di metallo, una fredda passerella che scende sempre più in basso. Per te, amore mio, che con la tua scelta hai dimostrato come sia possibile trasformare il buio più nero in luce splendente. Per te, figlio salvato dal fango e chiamato all’eternità. Per noi, miracolo immenso, perché la vita è la più grande avventura, perché la vita è tutto ciò che siamo.