La penombra mi consola e nella stanza c'è profumo di pace. È il mio mondo, la mia vita, il mio essere qui con una vecchia scatola appoggiata sulle ginocchia. Quante cianfrusaglie, lettere ricevute o mai spedite, i nastri che portavo tra i capelli quando ero bambina, il diario chiuso con un piccolo lucchetto argentato e la chiave nel portagioie di opale. Sono frammenti deliziosi, briciole di un passato già sgusciato dalle mani. Quanto tempo volato via, scorribande di una giovinezza randagia, sospiri, occhi e mani. Quanta vita, vita bella. E quanto amore a mani piene, passione e corpo, labbra, pelle, capelli, umori e odori.

Sono erotica, molto erotica. Ci penso sempre e nella vita farei solo quello, lo farei per lavoro e per passione, la farei per sentirmi viva. Adoro il corpo, la pelle, le linee della mano, le vene gonfie sui polsi. Adoro il pulsare della giugulare sul collo, il lobo dell'orecchio e il fremito sotto la gola, e la schiena, le cosce, le ginocchia, i piedi. Sono tutta erotica, chiunque potrebbe sfiorarmi e accendere in me la frenesia più liquida, ma sono sola e va bene così. Mi accontento, non mi riferisco al sesso fai da te, detesto quel modo di darsi piacere da sole, la ritualità del gesto, le dita umide e il silenzio. Solo una volta ci provai, chiusi a chiave la porta, nel silenzio controllai il respiro e il gemito per evitare che qualcuno se ne accorgesse. Mi sembrò di profanare un tempio. Non mi riguarda, non m’interessa. Molte donne lo fanno, tra un uomo e l'altro, prima di addormentarsi o di andare al cinema. Molte donne si toccano e gioiscono di quel palliativo, pochi secondi e una scossa breve, acqua bollente tra le dita e un sospiro ammezzato.

Sono erotica, sì. Ho un ruscello tra le gambe, pronto a trasformarsi in oceano. Sento una danza calda nel ventre, un'onda che sale e si gonfia, esplode, arriva fino all'anima, dai piedi ai capelli in un istante. Mi scuote e mi lascia esausta ma per poco, solo un attimo e mi sento pronta a ricominciare come la prima volta. Non sono tutte uguali a me, conosco molte donne che temono le proprie sensazioni, fremono al pensiero ma subito scuotono la testa per distogliere l'idea e pensare ad altro. Alcune sono timide e questo influisce, frena l'istinto e il bisogno. Ma la timidezza non dovrebbe essere un deterrente, la gioia e la passione dovrebbero essere alla portata di tutti, anche delle persone ansiose e piene di tabù. L’importante è sapersi accontentare. Molte donne si fanno tanti problemi e cercano il difetto. E quello è troppo basso, oppure troppo magro, o grasso, o peloso, oppure sbaglia un congiuntivo. Sono donne che si nascondono dietro la ricerca di una perfezione che mai troveranno su questa terra, perché l'essere umano è un incredibile angelo incompiuto e creato bene solo per metà, il resto sono difetti, falle, increspature e rughe.

Ho avuto qualche amorazzo brado, peccati di gioventù che ora ricordo appena. Quelli erano gli anni magici della contestazione, sigaretta morta in bocca, capelli sporchi e il desiderio di cambiare il mondo. Lunghe assemblee universitarie, giovinastri sudati e ideologie all'ingrosso, un gregge che pendeva dalle labbra di rivoluzionari con l'eskimo che berciavano dietro a un megafono. Poi gli spinelli passati di mano, l'alcool e il sesso in ogni forma e solo perché ne avevamo voglia, alla faccia dei benpensanti. Come tutte le donne mi svegliai una mattina di ottobre e presi coscienza della mia vagina. Quel buco tra le cosce mi apparteneva, non era appannaggio esclusivo di un maschio, ma di tutti i maschi che avrei voluto. E successe davvero così, imparai a desiderare, a sciogliere i lacci e le inibizioni, la pillola anticoncezionale in borsetta e tanta voglia di sentirmi viva. 

Teorizzavamo l'amore libero, una bugia sublime che ci donava la sensazione di un riscatto meritato. Ma come poteva essere libero l'amore? Tutte noi incontrammo presto il bisogno di appartenere a qualcuno, il desiderio infame di sentirci proprietà di un maschio prepotente. E non lo potevamo accettare, così migravamo da un abbraccio a un altro, da un sorriso a una differente allegria. E il tempo scorreva, e tutto cambiava.

Le felicità era l'osso e noi un branco di cagne affamate. Sempre un passo dietro, sporche d'esistenza, raspando nella terra con la speranza d’arrivare al cielo. Qualcuna di noi spiccò un volo breve, perdendosi nella foresta intricata di un tempo vuoto. Respirò l'inferno della droga, amici sbagliati e disperati. E volò via, con la foto sul giornale nelle pagine di cronaca nera. Qualcun'altra finse d'innamorarsi davvero e si sposò, un bel matrimonio con tanta gente allegra. Poi anni di noia, occhiaie sempre più scure e teste basse, spingendo un passeggino o un carrello della spesa, accodata a una vita troppo pesante.

E io in fondo al branco, bella e assetata d'amore. Erotica come la Monna Lisa di Leonardo, vestita di nero con le mani in grembo, il sorriso enigmatico e lo sguardo all'orizzonte. E la domanda che preme è ancora la stessa, urge e bussa alla porta del cuore. È il disperato bisogno di un amore folle, e tutti ne parlano, e tutti in cerca di questa sublime utopia. Perché amare è una sola azione che svicola in direzioni opposte. In noi alberga il bisogno di amare, ma anche di essere amati. E l'uno implora l’altro, in una corrispondenza che confonde e spesso ci porta a costruire un'idea deforme dell'amore. Così ognuno ama come può e come desidera, a volte senza impegno, a volte senza speranza, in un bizzarro ed egoistico valzer a occhi chiusi.

Un rumore di passi in corridoio mi distoglie dai pensieri, è uno scalpicciare conosciuto e leggero che si ferma davanti alla porta della mia camera. Un breve silenzio e tre colpi sul legno, secchi e uguali.

«Gertrude, svelta, sono le cinque.»

Lo so. È ora di uscire. Nel corridoio il rumore aumenta, sono piccoli passi che si sommano ad altri, una processione sonora che ascolto tutte le mattine da quarant'anni.

Mi alzo dalla seggiola, un colpo di spazzola e raccolgo i capelli alla nuca. Un'occhiata allo specchio, la mia fronte breve, la pelle chiara, lo sguardo è sempre lo stesso. Indosso la tunica, la cocolla e il velo. Un bacio al metallo freddo del crocifisso, poi lo infilo al collo.

Sono pronta.

Apro la porta e una ventata di aria gelida mi accarezza le guance. Percorro il corridoio, da lontano arriva la voce delle mie sorelle che intonano l'inno delle lodi mattutine. Arriverò in ritardo, meglio affrettare il passo.

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