"Veronica, ricordati, non è ancora la tua stagione……..”
Così le diceva la nonna quando lei, passando veloce davanti la sua porta, la salutava con un “ciao” allegro e leggero.
La nonna passava le giornate seduta su una grande poltrona a fiori, circondata dai suoi libri che la tenevano occupata per la maggior parte del tempo.
La poltrona era tra la porta che dava sul corridoio e la finestra della stanza, cosicché, quando il sole del pomeriggio colpiva direttamente i vetri, la nonna appariva in controluce come una sagoma dalle forme morbide.
“Veronica, ricordati, non è ancora la tua stagione……..”. Immancabilmente quell’invito era scandito con voce chiara tutte le volte che la ragazza usciva di casa.
A dire il vero, Veronica non comprendeva a quale stagione si riferisse la nonna, per lei, fin dai tempi delle elementari, le stagioni erano quattro e, ancora adesso, liceale dell’ultimo anno, le recitava come allora: “Primavera, estate, autunno, inverno” in un ordine che, in un certo modo, rappresentava anche il suo gradimento per i quattro periodi dell’anno.
Ma a quale di queste stagioni si riferiva la nonna? Quale delle quattro non era ancora sua? E le altre stagioni perché le sarebbero dovute appartenere? In genere questi pensieri la catturavano mentre scendeva a perdifiato le scale, per essere dimenticati appena varcato il portone del palazzo.
Veronica si poteva definire una “fanciulla” nonostante i suoi diciannove anni, sempre in ritardo, sempre di corsa, sempre sorridente, sempre pronta a giocare.
Gli insegnanti la definivano una “sognatrice” e, ovviamente, primeggiava in italiano, materia dove poteva liberare tutta la sua fantasia.
Quella mattina, stranamente, non era in ritardo e dopo l’abituale promemoria della nonna a proposito delle stagioni, si era avviata verso la scuola a passo tranquillo.
L’urto fu violento quanto improvviso, si sentì proiettata in avanti e vide piombare a terra a pagine aperte i libri che, fino ad un momento prima, erano sotto il suo braccio,.
“Scusa, scusa, scusa, credimi non volevo, tutto bene? Abbi pazienza sono in super ritardo…..”
Appena il tempo di veder scomparire di corsa  la sagoma di un ragazzo dai capelli ricci, occhi verdi e un largo maglione color rosso mattone.
Non riuscì a dire una parola, non imprecò, non gridò “aiuto”, rimase in silenzio e, raccolti i libri, un po’ indolenzita dall’urto, riprese il cammino verso il liceo.
La giornata scivolò e dell’incidente svanì velocemente anche il ricordo.
Alle tredici e dieci la liberazione ed il cammino verso casa, nella mente ancora Dante, il canto decimo del Paradiso, S. Tommaso, e…..un tocco leggero sulla spalla, i riccioli, gli occhi verdi: “Ciao, se non te ne sei accorta sono quello che stamattina ha cercato di ucciderti con una spallata……..volevo chiederti scusa da “umano”, sai ero in ritardassimo ed avevo un appuntamento importante. Spero che tu non ti sia fatta male e i libri? Interi? A proposito, mi chiamo Andrea”.
Restò in silenzio, un silenzio strano che l’avvolgeva come nella stretta di una rete, gli occhi persi, e un calore che invadeva i visceri con insolenza.
“Ehi ma è ancora l’effetto della botta o proprio non mi vuoi parlare?”
“No, no, scusami. Per questa mattina non ti preoccupare, nessun danno. Spero che tu sia arrivato puntuale, nonostante la mia ingombrante presenza……”
“Tutto OK, anzi, forse mi hai portato fortuna, la risposta che ho avuto da chi dovevo incontrare è stata positiva, sai si trattava di una cosa per dopo l’esame….ma forse te la racconto un’altra volta, se ci sarà un’altra volta…..”
“E perché no? Io sono in 5^ C al terzo piano, sei anche tu al liceo mi pare……”
“Si io sono nella A quella del terribile Barzaghi che ci massacra di versioni…Bene allora alla prossima, però senza spintoni”
“Ciao, alla prossima”.
Le “prossime volte” furono molte, Veronica continuò a sognare, sorridere e giocare ma i suoi sogni, pian piano, cominciarono ad avere un nome ed un volto, le sue giornate si riempirono di pensieri e quegli occhi verdi entrarono sempre di più nel suo cuore.
La nonna continuava a ricordarle la faccenda della stagione, ma lei non si chiedeva più il significato di quella raccomandazione, lungo le scale, per la strada, in classe, ovunque i suoi pensieri erano solo per una persona: Andrea.
L’esame era vicino, ma non le faceva più paura, a volte studiava con Andrea, nelle “ore buche”, in biblioteca, qualche volta sulle panchine dei giardini di fronte alla scuola.
Quel giorno camminavano assieme verso casa, erano angosciati dal testo di critica letteraria, una “palla galattica”, così l’aveva definito Andrea, che aveva già letto un po’ del libro.
“Non ci credi? Ma come fa a piacerti quella roba? E come fai ad essere così sicura che non hai ancora letto niente? Anzi, sai cosa facciamo, ora ti do il libro, tanto io per adesso lo mollo lì, tu leggi, leggi bene e poi, fra tre giorni, vedremo se sarai rimasta della tua idea o se sarai  diventata verdognola…..”
Intanto erano arrivati davanti alla casa di Andrea, lui aprì il portone e lei, meccanicamente, senza pensarci, lo seguì. Dopo pochi attimi si ritrovarono in camera sua, libri ovunque, spartiti, due chitarre, foto varie, un gran disordine.
“Ecco, beccati questo” le disse, porgendole il libro tenuto alto con le due mani, come un testo sacro. Lei ripeté la mossa e protese le mani parallele, ponendole su quelle di Andrea.
Il libro venne abbassato e gli sguardi si incontrarono.
Andrea le accarezzo il volto dolcemente, poi la sua mano scivolò lungo la spalla, lungo ifianchi e giù.
Cominciò a baciarla lievemente, sulla guancia, poi lungo il collo, sulle braccia…..
Veronica si sentì stretta dall’abbraccio e la dolcezza della prima carezza scese lungo tutto il suo corpo, che lei sentiva vivo come mai le era capitato.
Si abbandonò e cominciò ad accarezzare Andrea, i due volti si incrociarono in una stretta appassionata. Avevano spento il mondo intorno a loro e tutte le loro forze, tutti i loro pensieri erano collassati in quell’abbraccio in quell’unione libera e sconvolgente.
Veronica per la prima volta volò e si sentì cambiata.
La sua anima, il suo cuore ed il suo corpo non erano più gli stessi di prima e mai sarebbero tornati ad essere come prima.
Quanti giorni? Quanto tempo? Quante “lune”, come direbbero gli Antichi?
Veronica non aveva più il tempo, le sue giornate erano una sola lunga giornata, il suo tempo era Andrea.
Ma il tempo, quello cinico e vero, scorreva inesorabile, passò l’esame, passò l’emozione per l’ottimo risultato, passò la festa e passò anche il tempo infinito di Veronica.
Un biglietto: “Vado in America per un master di musica techno. Perdonami, sono un codardo e non volevo vederti piangere. Magari, un giorno……ma non alimentiamo false illusioni per non soffrire, se capiterà………Ciao”.
Fine.
Veronica riprese ad uscire passando davanti alla porta della nonna.
“Veronica, piccola mia, fermati un momento…..” La voce proveniva da quella sagoma morbida in controluce. Veronica entrò nella stanza e si accovacciò ai piedi della nonna, sentì la sua mano nei capelli e la sua voce: “…..piccola mia, torna a sorridere”.
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