«Può tranquillizzarsi signora, Martino è un bambino perfettamente normale, perfino brillante. Le darà delle soddisfazioni, vedrà.»

«Ne è sicuro dottore? Io e mio marito siamo davvero molto preoccupati. La scuola elementare e la frequentazione di altri coetanei non ha migliorato le cose. Sembra non sentire il bisogno degli altri bambini e continua a gesticolare spesso ripetendo gli stessi movimenti e fissando il vuoto. E’ un bambino adorabile ma questi momenti ci angosciano.»

«Le assicuro signora che suo figlio non ha problemi importanti. E’ intelligente, pronto e anche maturo per i suoi sei anni. Tutti i test cognitivi e psicologici che abbiamo effettuato lo certificano. La nostra conclusione è che si tratti semplicemente di un caso da manuale di “amico immaginario”. Capita molto più spesso di quanto si pensi e, vedrà, a breve scomparirà spontaneamente.»

«Lo spero tanto dottore.»

«Ne sia certa! Ignori questo aspetto e si goda suo figlio. Tutto andrà a posto.»

 

***

 

Martino era davvero un bambino brillante.

Non ci mise molto a rendersi conto che quando parlava con Lei, usando il loro linguaggio di gesti, gli altri bambini lo guardavano in modo strano. Era meglio essere discreti e non farsi troppo notare.

Lei c’era da sempre e gli piaceva tanto. Era cresciuta con lui ma non aveva mai imparato a parlare. Muoveva le labbra ma non si sentiva niente. Non era mai stato un problema. Si capivano perfettamente e avevano pian piano creato il loro linguaggio di gesti che andava benissimo per giocare. E che giochi! Poteva sparire ed apparire e riusciva anche a passare dentro di lui. Martino aveva cercato di farlo con un altro bambino ma quello era finito per terra con un livido in faccia e un grosso bernoccolo dietro la testa.

Lei era proprio fantastica!

 

***

 

La giornata al di là della finestra era luminosa e vivida. A Martino piaceva immaginare il sole che sbirciava nella camera stupito dalla penombra perenne che vi regnava punteggiata appena dalle spie delle apparecchiature mediche che lo aiutavano.

Quando quel dolore violento e impossibile aveva cercato di aprirgli il petto aveva avuto paura. Ma solo pochi attimi, poi il volto di Lei, sorridente, era entrato nel suo campo visivo gettando lo strazio e il terrore sullo sfondo alle sue spalle. «Non è grave» dicevano i suoi lineamenti perfetti. «Non è il momento» affermavano i suoi occhi profondi in cui non poteva fare a meno di annegare ogni volta.

Dopo settantadue anni non avevano più bisogno di gesti segreti per comunicare. Bastavano sfumature d’espressione, gradazioni di sguardi, pause e sospiri. Nessun segreto. Nessun interrogativo irrisolto tra loro.

 

«Settantadue anni di condivisione assoluta.» disse alle macchine ammiccanti «E insospettata!» aggiunse sorridendo. Nessuno aveva mai potuto supporre che dietro la sua lunga vita meticolosamente solitaria si celasse un legame tanto intenso da far impallidire quello tra Paolo e Francesca. Lei era cresciuta ed invecchiata con lui. Non lo aveva mai abbandonato. Sorrise ripensando teneramente ai suoi genitori che gli raccontavano, da anziani, dell’ansia che il suo infantile “amico immaginario” aveva causato loro e del sollievo sopraggiunto quando quel periodo era finito. Ogni volta che il discorso arrivava a quel punto Lei, immancabilmente, gli faceva delle smorfie irriverenti e lui non poteva fare a meno di ridere. «Mamma e papà se ne sono andati felicemente convinti di essere loro la causa della mia ilarità…»

Lei, invece, non se n’era mai andata. Non lo aveva mai lasciato ed aveva condiviso la sua vita in ogni aspetto gioendo e soffrendo con lui. Era stata la spalla cui appoggiarsi nei momenti difficili, il sorriso da prediligere nella felicità per moltiplicarne l’intensità, il rifugio sempre disponibile quando occorreva ripararsi e riprendere fiato. Ed era il suo unico amore.

 

Anche ora, a oltre settant'anni, Martino la trovava bellissima. In Lei non c’era niente di ostentato, niente di esagerato. «Lei la bellezza la indossa come un vestito per tutti i giorni, con semplicità. Te la regala con delicatezza, con affetto. Lei è così e non potrebbe porsi diversamente» si diceva Martino ed era riconoscente che fosse toccata a lui.

Non aveva mai udito la sua voce e la immaginava carezzevole ed accogliente tanto quanto lo era Lei. Dopo tanti interrogativi si era convinto che vivessero su piani di realtà leggermente sfalsati. Che per una fortunata combinazione di imponderabili fattori i loro due universi si fossero toccati ed intrecciati in un qualche modo sconosciuto che non consentiva la condivisione di suoni. E mai alcun contatto. Come note di sinfonie immortali ma senza corpo, potevano amarsi ma non toccarsi.

 

Passato il tempo dei giochi ed entrati nella stagione dell’adolescenza, del cuore e delle aspettative per il futuro, dalla loro amicizia era sbocciato presto un amore intenso e complice impreziosito dall’esclusività di un rapporto così congenitamente segreto al resto del mondo. Quanto tempo avevano passato, da allora, uno vicino all’altra fantasticando di sfiorarsi! Immaginandolo con una forza tale da convincersi di aver sentito “qualcosa”. Che poi fosse vero o no che importanza aveva?

Per tutti quegli anni fantastici gli altri avevano visto in Martino un irrecuperabile solitario mentre lui non era rimasto mai solo nella vita. Gli altri avevano visto tristi e malinconiche vacanze in solitudine mentre, invece, Martino aveva girato il mondo con Lei condividendo esperienze e stupore, scoperte ed emozioni. Gli altri avevano pensato sere monotone e vuote in una casa deserta non potendo certo immaginare quanto fossero piene quelle sere di sentimento ed appagamento, di felicità e riconoscenza.

Cullato dal ticchettio delle macchine mediche Martino oscillava tra la veglia e il sonno. Tra il pensiero lucido del suo amore per Lei e il sogno del suo amore per Lei.

 

La realtà tornò improvvisa e vivida insieme a quell’impossibile dolore lancinante e definitivo. Le macchine avevano alzato il tono e sembravano urlare mentre le voci concitate del personale medico rimbalzavano per la stanza.

Il terrore di Martino si spense quando il volto di Lei si sporse sul letto. Sorrideva, quindi non c’era niente da temere. La mano di Lei si avvicinò alla sua guancia a mimare, come mille altre volte, una delicata carezza. «Lieve come la serenità, ferma come il rispetto, morbida e confortante come l’amore...» pensò Martino e, con stupore, si rese conto che aveva percepito chiaramente il tocco di Lei.

L’odioso dolore che gli scavava il petto perse allora ogni importanza e Martino, quando udì per la prima volta dopo settantadue anni, la voce carezzevole ed accogliente di Lei che gli mormorava «Adesso è il momento. Vieni con me…”, chiuse gli occhi, lasciò sul letto ogni peso e fardello e la seguì, leggero, mano nella mano.

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