II

La porta si apre lentamente, rivelando una donna robusta, il viso segnato dalla fatica. La scruta a lungo, gli occhi penetranti ma non ostili. Poi, senza dire nulla, fa un cenno con la testa e si scosta per farla entrare.

"Vieni dentro," dice, chiudendo rapidamente la porta alle spalle per tenere fuori il freddo e, soprattutto, gli sguardi curiosi. La giovane avanza titubante, i piedi scalzi che lasciano impronte umide sul pavimento di legno. La donna  la osserva con attenzione, poi si dirige verso un vecchio armadio. Ne estrae un paio di indumenti asciutti, una camicia e una gonna di lana grossa, e li posa delicatamente sul tavolo accanto a una sedia.

"Cambiati," dice con tono gentile ma deciso, lasciandola sola per un momento. Quando ritorna, la ragazza si è già avvolta nella gonna pesante, mentre tiene la camicia umida contro il petto. I capelli bagnati, ciocche scure incollate al viso pallido, la fanno apparire ancora più fragile.

La donna  si avvicina, posa una mano robusta sulla sua spalla e la guida verso la sedia. "Siediti, bambina. Devi mangiare qualcosa."

La giovane la segue in silenzio, gli occhi grandi e scuri pieni di paura e diffidenza. La donna  si muove con sicurezza, accende una piccola lampada a olio sul tavolo e le mette davanti una ciotola di zuppa fumante e un pezzo di pane appena sfornato. Poi riempie un bicchiere con acqua fresca.

"Mangia," insiste, notando che la giovane non tocca nulla. "Sei stanca e affamata. Forza."

La ragazza alza lo sguardo verso di lei, titubante, ma alla fine prende il cucchiaio con mani tremanti e inizia a mangiare. La donna  la osserva, l'espressione grave, le braccia incrociate sul petto.

"Che ti è successo, figliola?" le chiede con voce dolce.

La giovane non risponde, il cucchiaio a metà strada tra la ciotola e la bocca. Abbassa lo sguardo, scuotendo appena la testa. Il silenzio si fa denso, e la donna  capisce che ci vorrà di più per farla parlare.

Sospira e si siede di fronte a lei, cercando di assumere un’espressione più rassicurante. "Mi chiamo Maria," dice infine, rompendo l’attesa. "Ho quarantacinque anni. Vivo qui da sempre, nella casa di mia madre e di mia nonna. I miei uomini sono partiti tutti per la guerra: mio marito e i miei due figli. Così… sono rimasta sola a badare ai campi. Sai com’è… qualcuno deve pur lavorarli, no?"

Sorride amaramente, ma la ragazza rimane immobile, gli occhi fissi sulla ciotola. Maria fa un altro tentativo.

"Non devi avere paura di me," continua, abbassando la voce. "Sono come te… e come tante altre. Siamo rimaste noi donne a fare quello che possiamo per sopravvivere."

La giovane alza lo sguardo, gli occhi velati da lacrime trattenute. Maria capisce di essere vicina, così prosegue con pazienza.

"Dimmi il tuo nome, almeno."

Un lungo silenzio, poi la ragazza  sembra prendere fiato. La sua voce è flebile, spezzata.

"Rosa… mi chiamo Rosa."

Maria annuisce, l’espressione gentile. "Bene, Rosa. Ora raccontami tutto. Cosa ti è successo?"

Rosa deglutisce, abbassa di nuovo lo sguardo. Il cucchiaio trema nelle sue mani. Quando finalmente parla, la voce è un sussurro quasi impercettibile, carico di dolore.

“Il fragore dei passi austroungarici… era come un tuono, un rumore che si mescolava ai vetri rotti e alle porte sbattute. Ero nel nostro paese, mentre i soldati si avvicinavano. Il cuore… il cuore tremava. Non potevo immaginare… non potevo pensare a quello che sarebbe successo. Mia sorella era all’esterno, intenta a stendere i panni. La vedevo… ignara del pericolo imminente. E poi… in un attimo, tre soldati si avventarono su di lei. Le loro mani… rapaci, minacciose. La mia voce si bloccò, e le sue urla disperate lacerarono l’aria. Tentava di opporsi, ma erano troppi. Non sapevo cosa fare. Volevo correre, ma i piedi sembravano incollati a terra.

Sentii i passi di mio padre che accorreva. Lo vidi afferrare uno dei soldati per un braccio e scaraventarlo a terra. Ma, in un attimo, l’uomo da terra estrasse una pistola e… sparò dritto in faccia a mio padre. Non ci credevo. Non potevo credere a quello che stava succedendo.

Mia madre e io… eravamo lì, paralizzate dalla paura. Le urla di mia sorella si intrecciavano con il nostro dolore e la nostra paura. Lei si girò verso di me, gli occhi pieni di angoscia. “Dobbiamo scappare!” Mi afferrò il braccio, e io… non riuscivo a muovermi. Il terrore mi bloccava. Ma lei mi trascinò verso l’interno della casa.

Barricammo la porta. Il rumore del legno che si chiudeva sembrava una protesta contro l’orrore che si stava consumando all’esterno. “Scappa! Scappa dalla porta del retro, non voltarti!” La sua voce… era rotta, disperata.

Con le lacrime agli occhi e il cuore in gola, corsi verso la salvezza. La paura mi assaliva. L’eco delle grida e il fragore del caos si mescolavano alle mie urla interiori. Non ho fatto niente… ho lasciato mia madre e mia sorella lì. Non ho potuto aiutarle. “

 

Si copre il viso con le mani, singhiozzando silenziosamente. Maria la lascia sfogare, il cuore pesante. Poi, con delicatezza, le prende le mani e gliele abbassa dal viso.

"Non è stata colpa tua," dice con fermezza, guardandola dritto negli occhi. "Hai fatto quello che dovevi per sopravvivere. Tua madre voleva salvarti. Ora sei qui… e non sei più sola."

Rosa annuisce debolmente, le lacrime che le rigano il viso pallido. Le parole di Maria sembrano penetrare attraverso la coltre di paura e senso di colpa che la avvolge.

"Resterai qui stanotte," dice infine Maria, senza lasciare spazio a obiezioni. "Domani vedremo cosa fare....".

Maria la osserva da un angolo della stanza, le mani occupate a preparare il letto. Non è una donna di molte parole, ma conosce troppo bene il dolore che si legge negli occhi di Rosa. L'ha visto tante volte negli ultimi mesi: ragazze e donne scappate dalle atrocità della guerra, con storie che si somigliano tutte troppo. Mentre dispone le coperte, il pensiero va ai suoi figli, dopo la ritirata dispersi da qualche parte in quella stessa guerra che sembra non avere fine. Ogni giorno aspetta una lettera, una notizia, ma niente. Il silenzio è l’unica risposta che riceve, lo stesso silenzio che riempie ora questa casa.

Quando finalmente si avvicina a Rosa, la trova ancora seduta nella stessa posizione, quasi immobile, persa nei suoi pensieri.

"Vieni," le dice, con una dolcezza che non usa spesso. "È ora di riposare."
 

Rosa la guarda, sorpresa e grata.

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