Chi mi ha ridotto così? Col naso tumefatto, gli occhi e il labbro gonfi e un orecchio che pare una fragola incollata alla testa?

La mia nuova vicina, la mia nuova vicina di casa zoccola puttana.

L’ho incontrata all’imbocco del viottolo di casa mia e l’ho vista che buttava la sua spazzatura nel mio cassonetto, capite? Nel mio cassonetto!

Per un momento mi sono distratto , lo ammetto, non si capiva se sotto quel lungo soprabito di pelle di serpente fosse vestita o no, certo che le belle gambe affusolate finivano in strambe pellicciose pantofole rosa fuori luogo, e gli occhi azzurri così splendenti che tutt’attorno si faceva buio…

Beh, io non sono un tipo medio e mica mi faccio impressionare, così gli ho detto: “Questo è il MIO di cassonetto!” Un po’ sgrammaticato ma volevo essere perentorio e sapete come mi ha risposto? “Tranquillo, non preoccuparti, ne faccio poca di spazzatura.”

E si è voltata e se n’è andata.

Ed è andata così per un po’. A dir il vero qualche volta era andata meglio, teneva il soprabito, sempre quello, un po’ aperto e Oh ragazzi…ragazzi…

Così, col tempo ho iniziato a sognarla, e prima ero infuriato e poi innamorato e, sapete, tutto quell’oscillare, quella discrasia di sentimenti comunque mi faceva perdere il sonno e mi faceva sentire in trappola, mi mortificava a tal punto che decisi di modificare i miei orari per non incontrarla.

Temevo di balbettare e di non reggere il suo sguardo, capito come mi aveva ridotto?

Così un giorno mi sono deciso, un po’ prima del suo orario mi sono precipitato al cassonetto, l’ho svuotato e mi ci sono infilato. Una volta all’interno mi sono spogliato e l’ho aspettata.

Non era così caldo, anzi era freddino e lei tardava, ma ero paziente e fui premiato. Quella sera aveva i tacchi e la sentii avvicinare. Il mio cuore batteva pazzamente, per ore m’ero sentito perso e ghiacciavo di solitudine così, quando ha aperto il portello, mi sono alzato e l’ho salutata: “Ciao, sono SPAZZATURA!”

Mi ha guardato come meritavo, come se fossi una merda sul tappeto del soggiorno.

“Vaffanculo Stronzo!” Ha sollevato un sopracciglio mentre rifletteva sul da farsi, poi mi ha preso a pugni ricacciandomi nel fondo del cassonetto coprendomi con tutti i sacchetti che avevo sparso in giro, e se n’è andata.

Da allora la evito, la spio da una fenditura nelle tapparelle, proprio ora è lì, la vedo e so che anche lei mi vede, guarda nella mia direzione come se potesse sentirmi, sì perché parlo da solo. Ho una poesia, una specie di liturgia che mormoro tra me quando la spio e prima o poi mi farò sentir da lei: “Non hai bisogno di permesso, puoi scaricare la tua spazzatura nel mio cassonetto…puoi anche picchiarmi, si sì non c’è problema e non serve un permesso, solo che ho tanto freddo ora…certo che non sono un tipo medio, senti questa… Agghiacciato pel soverchio gel…ora son qui al cospetto tuo a batter i denti*… padrona mia… non ti piace la poesia?… allora posso abbaiare?…Posso? Bau Bau Padrona Bau Bau!”

*Petrarca

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