Si divertiva a girovagare tra quelle cataste di lamiere ammaccate, rugose di ruggine, che prima di trovare eterno riposo tra rigagnoli d’olio e acqua erano state giunoniche automobili. 

Alcune erano state abbandonate per vetustà, altre erano state abbraccio mortale, altre ancora erano state mezzi di fuga dopo una rapina finita male, i fori dei proiettili ricamavano le portiere come lentiggini dai bordi bruniti. 

Poi c’era un furgone, di quelli con le portiere sul retro, residenza itinerante di un senza tetto con infinite storie da raccontare sulle corde di una chitarra. Prediligeva le carrozzerie bianche. Erano eleganti, eteree spose dell'asfalto. 

Quella che più lo attraeva, come una di quelle vecchie dive fascinose ed ammaliatrici della Columbia, era una vecchia Pontiac Chieftain. 

Le forme tornite, gli occhioni tondi ammiccanti come sensuale e stupita bibliotecaria, la carrozzeria ancora lucida come la superficie di un bicchiere di latte freddo. Gli pneumatici sgonfi parevano i seni di una pingue ed anziana pin-up che fatica a rimanere appesa al proprio tempo. 

Aprì la portiera. 

Un sorriso cigolante lo accolse. 

Si sedette e avvolse il volante con le dita, si accese una Camel.
"Una macchina del tempo ecco cosa sei..." - sussurrò. 

Già, gli erano sempre piaciuti quegli anni cinquanta. 

Accarezzò il cruscotto. 

Uscì dall'abitacolo e l’artiglio meccanico la ghermì sfregiandola nell'intimità. 

Deglutì come ad un funerale: un magone secco dietro la lingua. 

La capote si accartocciò, il parabrezza esplose: una pioggia di diamanti scintillò nel sole; la voce di Marilyn riecheggiò mentre la pressa la masticava, battuta dalla mazza di un orco. "Men grow cold as girls grow old, And we all lose our charms in the end".
Dopo il silenzio, si mise alla ricerca di un nuovo viaggio nel tempo su altre belle bianche latte per rimanere anch’egli appeso alla passione per una gattina effimera e scintillante, come un verme all’amo.

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