Ricordava ancora come se fosse ieri. Mobbing, lo stava subendo da tanto, troppo tempo.

Era il giorno della visita medica, una multinazionale millanta sempre di sfoderare una cura insormontabile per i propri dipendenti, che di base aziendalmente c’è. Purtroppo la vita insegna che l’azienda la fanno le persone e che se stai sulle palle a qualcuno quella tanto cura riconosciuta diventa un bel coltello che entra dentro bene bene e via via neanche te ne accorgi e sei colpito e affondato.

Mi presento alla visita medica, il dottore mi guarda in un modo che non mi sconfinfera, si è fatto sgamare. Lui sa che momento sto passando, lo capisco perché entra dentro la stanza con il capo in giù, il tono è abbastanza perentorio, riconosco l’atteggiamento del faccio il duro e non lo sono, probabilmente non è uno stronzo come quello con cui sto lottando da due anni. Lui non è un tagliateste, è un medico, ma sono sicura, lui sa. Si siede dopo avermi visitata, dice, senza aver il coraggio di guardarmi: “tutto bene sul lavoro", si domanda e risponde da solo, crocettando con conferma al sì alla domanda del test che si trova davanti.

Da solo ha letto “le attività lavorative procedono bene”, crocetta la risposta benissimo. Dice di firmare, per accettazione. Respiro, lo guardo, fatica a ricambiare lo sguardo. Non firmo.

Dichiaro: “ha confermato per me, ha risposto per me, non va tutto bene dottore” .

Mi osserva, apprendo che vuole mantenere il self control con un’aria antipatica che capisco essere solo una maschera. Noto che ha la fede al dito, è sui 35, Rolex camicia firmata ben curato, tutto questo mi disturba. Lo guardo dritto negli occhi, solo ora vedo che li intercetta. Mi dice che sa, è stato informato, minuzie, ci sono stati piccoli problemi. Lo faccio parlare, capisco che devo essere di poche parole ma decisa. In un secondo lo guardo: "lei è padre?"

Attendo la risposta che non arriva, la maschera cade, continuo: “se fosse suo figlio a subire mobbing? Se al posto mio ci fosse suo figlio o sua figlia? Si comporterebbe così?” 

Silenzio, non risponde. Passano 30 secondi. Mi guarda e nn dice nulla ma ha un viso che manifesta uno sguardo di comprensione che nessuna parola può descrivere. Mi alzo, arrivo alla maniglia, mi chiama, dice “mi dispiace”.

Ha gli occhi lucidi. Risponde, “ho una figlia”.

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