Quell'anno frequentavo la Seconda Media. Era un lunedì di novembre del 1987 e l’insegnante di Storia e Geografia stava facendo una lezione di Educazione Civica sul Vandalismo nelle metropoli.
Durante l’ora,  si è messo a fare un elenco di divieti e di permessi. Poi ci ha spiegato il significato dei termini e ci ha letto un paragrafo che parlava di giovani teppisti che scorrazzavano per le città danneggiando autobus e monumenti.
Dunque, in città ci stavano i vandali. Ma noi, abitando in un paesino e non essendo mai stati in una metropoli, pensavamo che i teppisti fossero dei tipi trendy.
Alla fine dell'ora è suonata la campanella dell'intervallo. Io e due miei compagni, Gianni e Claudia, abbiamo cominciato a giocare con quelle parole nuove. Io chiamavo Gianni Vandalo!, lui mi dava del Teppista, mentre Claudia faceva i versi degli Indiani d'America scorrazzando per il corridoio.
Dopo dieci minuti la ricreazione è finita e noi siamo tornati in classe.
All’uscita da scuola, tutti e tre ci siamo dati appuntamento per le quattro del pomeriggio all’oratorio. 
Però poi all’oratorio non ci siamo andati e siamo stati in giro fino alle sei. A quell'ora era buio da un pezzo. Ci siamo diretti verso la scuola. L’aula dove facevamo lezione era al piano terra rialzato e si affacciava sul retro dell’edificio: la strada lì era meno trafficata e le illuminazioni non c'erano. Ci siamo muniti di sassi e li abbiamo lanciati alle finestre. Quando abbiamo sentito i primi crash, ci siamo dileguati.
La mattina dopo, all’ingresso della scuola, il bidello ci ha comunicato che ci avevano cambiato l’aula e che in classe ci stava aspettando il preside. 
Lo abbiamo trovato in piedi vicino alla cattedra. Prima ci ha spiegato perché fossimo stati spostati e poi ha dato la parola all’insegnante in servizio.
Questo era lo stesso che il giorno prima ci aveva sciorinato la lezione sul vandalismo. Ha fatto un discorso di tre/quattro minuti, dopo ha chinato gli occhi e ha concluso:
-Sono proprio dei vandali!-
Io ho guardato di sbieco Claudia e poi Gianni. Ridevano sotto i baffi.
Insomma, la predica di quei due è durata in tutto una decina di minuti, dopodiché il Capo d’Istituto si è levato di mezzo e noi abbiamo fatto lezione.
L’indomani, prima di entrare a scuola, verso le 08:25, ho rivisto il Preside in giro. Da un paio di giorni me lo sentivo alle calcagna. Era in compagnia del falegname del paese, che era anche vetraio. Mi sono avvicinato con la scusa di raccogliere il pallone che stavo portando con me. 
I due stavano parlando dei costi e dei tempi che necessitavano per rimettere i vetri alle finestre.
Non ho potuto sentire altro perché poi alle 08:30 è suonata la campanella.
Sono entrato in classe e mi sono avvicinato a Claudia e a Gianni per informarli di quello che avevo sentito.
-Appena loro rimettono i vetri, noi li rompiamo di nuovo- mi ha risposto lei sogghignando e scambiandosi uno sguardo con l'altro, che ha fatto il pollice in su.
La sera, però, quando sono andato a letto dopo cena, non riuscivo a dormire perché pensavo a quello che si erano detti il Preside e l’Artigiano. Mi rigiravo sotto le coperte. 
Poi, forse dopo la mezzanotte, mi sono addormentato e non ho pensato più a nulla.
Fino a quando mi sono alzato.
Era mattina.
Mi sono sciacquato il viso e ho fatto colazione. Sono uscito per andare a scuola e ho incontrato Claudia. Questa, quando mi ha visto, mi ha detto che nel paese non c'erano più falegnami, la scuola era senza Preside ed aveva le finestre tutte rotte, perciò non potevamo più frequentare le lezioni perché nelle aule faceva freddo. Mentre lei mi parlava, io guardavo a terra e notavo che le vie erano ingombre di rifiuti che nessuno si prendeva la briga di raccogliere, per cui i mucchi di immondizia in fondo alla strada mi parevano sempre più grandi.
Abbiamo deciso di rincasare ma la via del ritorno era bloccata perché adesso i cumuli di spazzatura erano diventati ammassi di macerie e bisognava toglierle via con le mani per passare. Ci siamo piegati per farlo ma non riuscivamo spostarle di un centimetro perché erano pesanti. Allora abbiamo deciso di camminarci sopra ma dovevamo stare attenti a non cadere in acqua da quegli scogli.

 

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