Quella mattina di maggio nel rituale giro dello shopping fra le vetrine dei negozi di via Libertà, in mezzo ai numerosi gioielli in bella mostra, avevo individuato oltre i vetri scintillanti di una delle due ricche vetrine di una gioielleria, uno strano ciondolo, una composizione artistica diversa dalle altre, un monile incastonato da due grossi rubini, che pareva rappresentare un polipo, una piovra oserei dire, con i suoi tentacoli aperti come nell’atto di voler arraffare tutto o intenta ad impossessarsi del cuore di chi l’avrebbe posseduto. 

Era un sabato di maggio, uno come tanti nei fine settimana, fra lo smog e la frenetica corsa delle automobili in cerca di posteggi fra un semaforo rosso ed uno verde, in un continuo attraversamento da un marciapiede e l’altro, nell’atmosfera ancora in fase di carburazione di una città, a poco a poco risvegliatasi dal torpore dell’ora della pennichella. Un ciondolo stava lì, dentro uno scrigno, come a voler custodire non tanto la selvaggia composizione ma una bellezza misteriosa, piena di colori cangianti come quelli vari di un polipo quando cerca di mimetizzarsi per colpire la sua preda. D’un tratto il cielo si era oscurato dopo una mattinata di sole e dopo che la calura mi aveva costretto a cercare rifugio in un cremino al bar. Pensavo a quel monile, che aveva prodotto in me quel turbamento ipnotico, e mi chiedevo chi fosse mai stato quell’orafo così preciso e minuzioso e quale idea fosse stata presente nell’atto creativo. Pensai che tutto quello che vediamo può essere letto in vari modi, può rivelare metafore d’amore e di morte, di gioia e di dolore e che non esiste una lettura oggettiva del mondo ma tante letture che si completano e si integrano per cercare di raggiungere la rivelazione del mistero che è in noi, nei nostri sentimenti, nelle nostre emozioni. Sì, perché quel monile, così strano ed al tempo stesso affascinante, con i suoi colori cangianti e con quell’atmosfera di mistero che sottendeva, mi aveva emozionato, aveva prodotto in me un desiderio spasmodico di riammirarlo dietro i vetri di quelle vetrine. E mi ero ripromesso di farlo, dopo il giro dei negozi per acquistare un vestito che mi serviva per un ricevimento privato.

Mentre ero seduto in una panchina in attesa dell’autobus, il cielo era diventato nero, quasi il sole fosse scomparso, e vidi che nella corsia preferenziale un motociclista della polizia stradale correva all’impazzata. Per schivare un passante che si stava accingendo ad attraversare si fermò di botto e nell’atto di tenere la pesante moto, cadde. Ma si rialzò velocemente e riprese la sua corsa in direzione dell’autostrada. Altri motociclisti passarono in fretta e furia, poi volanti e pompieri. Quella strada si trasformò in una pazzia di sirene spiegate. E tutti alla fermata, dentro i negozi, affacciati ai balconi dei palazzi storici e ai palazzi contemporanei, capimmo che era successo qualcosa di grave.  Erano le 15.59 di sabato 23 maggio millenovecentonovantadue.

 

Qualche giorno dopo mi capitò di passare accanto alle vetrine della gioielleria. Ricordai che dietro quei vetri avevo visto qualcosa di strano in mezzo ai gioielli esposti di quell’attività commerciale. Avvicinatomi, notai però che il monile non c’era più nello scrigno ma che al suo posto ora vi era un piccolo candelabro d’argento. Cercai ancora con lo sguardo tra le gioie. Niente. Era scomparso. Allora entrai. E chiesi al gioielliere che fine avesse fatto quel ciondolo che avevo visto la settimana prima in bella mostra.

“Ah, il ciondolo piovra! Sì, ho capito! Si riferisce al ciondolo piovra,” fece il gioielliere, costernato. “Purtroppo, quando ci fu la deflagrazione di sabato, il boato ha fatto vibrare la vetrina così tanto che quel ciondolo particolare, di rara fattura, è caduto a terra, frantumandosi. Peccato, un vero peccato!”

Ne rimasi stupito. Come era potuto avvenire che un ciondolo dall’aspetto indistruttibile e con quell’aria minacciosa che incuteva paura, rovinasse così frantumandosi per sempre? Allora capii che tutto questo era un segno. Che da quel sabato del millenovecentonovantadue con il sacrificio di sette angeli e poi di altri in seguito, la mafia, che per tanto aveva terrorizzato la nostra città, avrebbe cominciato ad essere frantumata dallo Stato e che presto sarebbe stata disintegrata e rovinosamente distrutta come la piovra ciondolo di quella gioielleria.

Il sole apparve nel cielo come allora, atroce e selvaggio, docile e sornione, camaleontico. Ed illuminò con il suo raggio la vetrina della gioielleria su via Libertà.

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