C’era una bambina, la bambina aveva una bambola.

Quel giorno era estate e l’afa incombeva, trasformava ogni respiro in peso sul petto e offuscava gli occhi negando lo splendore del sole, vivo nonostante tutto.

Per questo la bambina si era seduta sul balcone, aveva divaricato le gambe e aveva accolto la sua bambola tra le ginocchia.

Le voci degli adulti arrivavano ovattate, solo ogni tanto, estranea, una parola scuoteva la bimba, senza riuscire a catturarne l’interesse.

Sulle mattonelle in cotto, la bambina aveva appoggiato il vasetto della pappa destinata alla sua bambola, il cucchiaino di metallo luccicava per il riflesso del sole.

Un boccone, un altro, la bocca chiusa della bambola e la pappa gialla a lordare il volto di gomma.

«Perché non mangi?», diceva la bambina alla bambola, «Sei una bambina cattiva!», aggiungeva con il cuore in subbuglio.

Gli occhi fissi della bambola le rimandavano un chiaro segnale di indifferenza, le lunghe ciglia di nylon creavano ombre a raggiera oscurando a intermittenza le iridi turchesi.

«Sei una bambina proprio cattiva! Devi mangiare!», aggiunse la piccola con le lacrime agli occhi e un impeto di rabbia difficile da trattenere.

Ora la pappa era colata anche sulle sue ginocchia nude e non c’era modo di evitarlo, la bocca scarlatta rimaneva chiusa, nonostante la forza con cui la bambina continuava a colpire il volto con il cucchiaino di metallo.

«Mangia!», ripeteva la bambina urlando solo nella sua immaginazione. Poi prese la bambola tra le mani e la schiaffeggiò, la girò a pancia in giù e cominciò a sculacciarla con violenza.

Senza più piangere, agguantò la bambola per le gambe e cominciò a batterle la testa sul pavimento, piano. Il cuore in gola, il viso sudato, il fiato corto e la rabbia.

Fu la rabbia ad avere il sopravvento, così la bambina prese a battere la testa della bambola più forte, sempre più forte. Per ogni colpo sentiva accelerare il battito del cuore.

Poi tutto finì, perché la testa si staccò e rotolo giù dal balcone.

La bambina raccolse il vasetto della pappa, si pulì le ginocchia e si accinse a rientrare tenendo nell’altra mano il corpo decapitato della bambola.

Era calma, adesso.

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