Cumuli nembi scivolano silenziosamente sulla tela di un anonimo artista impressionista; la consistenza indefinita del cielo si rispecchia in modo irregolare sulla superficie indomita dell’acqua mentre a riva la risacca produce uno sciabordio malinconico che oserei definire wagneriano.
Cammino su un lungo mare deserto, la sabbia dura e umida si lascia plasmare dai miei passi nonostante capti l’indecisione con cui strofino i granelli fra le dita. Mi volto a guardare quel cimitero di impronte, falso conforto di un sentieroprivo di destinazione.
Da lontano giunge un rombo cupo, preludio della tempesta che lentamente si fa strada lasciando una plumbea bava di tragedia dietro a sé. Qualche goccia solitaria inizia a sfumare dolcemente quel bizzarro nastro di orme, mi chiedo quante volte ancora sentirò il bisogno di voltarmi indietro. La pioggia continua con pacata insistenza a cancellare quello che fu il mio unico conforto, la sottile sicurezza che tengo stretta al collo.
Resto ad ammirare le sfumature violacee della Tempesta, scavo dentro di me per cercare la paura ma trovo solo apatico stoicismo. Di nuovo un passo dietro l’altro, il vento mi spinge verso il fulcro del sisma, fulmini fanno vibrare l’atmosfera di luce albina, inondando di sostanziale  nulla l’aria ormai gelida.
Grandi nuvole si cimentano in riti baccanali, gioendo di pallida ammirazione di fronte al terribile spettacolo, volteggiano attorno alla Dea violetta ubriacandosi di elettricità nell’estasi di un secondo.
La pioggia abbandona la sua mite pacatezza, quasi a rimarcare la mia pericolosa presenza a quel rito segreto, un gelido ammonimento smorzato dalla foga del vento che invece preme sulle mie scapole affinché affretti i miei passi. Le gocce diventano malvagi aguzzini, chiodi appuntiti che mi graffiano il viso e mi schiacciano verso il basso impedendomi il respiro.
Sollevo sempre più difficilmente i piedi da terra, mentre attraverso il punto di non ritorno con la consapevolezza che ormai è troppo tardi per tornare indietro. L’unica possibilità ora è continuare ad avanzare, annullarmi nel caos, scomparire all’interno di quel vaso di pandora.
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