Il mio sogno d’amore si infranse una sera di fine luglio.

La cena era pronta e stavo sistemando i fiori in salotto. Filippo rientrò a casa più tardi del solito e sudato. Mi diede un bacio e mi disse che aveva bisogno di fare una doccia. Con un sorriso malizioso, ne convenni anche io. Si spogliò e andò in bagno. Raccolsi i suoi calzoni caduti a terra per lavarli e svuotai le tasche. Trovai un biglietto piegato e pensai: "Stai a vedere che è il biglietto di un'amante". 

Un pensiero premonitore che metteva a nudo i miei dubbi su quell’amore sereno, ma tiepido, perfetto, ma superficiale. Non avevo mai ammesso a me stessa che la mia felicità potesse poggiarsi su di un castello dalle fondamenta di sabbia.

Non mi sbagliavo. Era il biglietto di una donna che gli dava appuntamento quel pomeriggio nel suo appartamento: Via Guerrazzi 10, interno 8, piano attico. Ecco il perché di quel rientro tardivo, quell’odore di sudore e sperma che il mio naso aveva riconosciuto e i mille dubbi. Sentii il cuore scendere dal petto allo stomaco e il mio castello crollare. Del mio progetto di vita, dopo un anno di matrimonio, non rimaneva più nulla.

Fu a quel punto che misurai la freddezza di quell’uomo. Diventai un problema da eliminare alla svelta e fece di tutto per sbattermi fuori di casa. Lo odiai con tutta me stessa, me ne andai umiliata e incapace di fargliela pagare. Il sostegno della mia famiglia mi aiutò a non soffocare di dolore. Andai a vivere in un piccolo appartamento che diventò il mio nido. Lì piansi tutte le mie lacrime e conobbi la solitudine. Per reagire alle circostanze mi circondai di gente, mi ubriacai di feste, vacanze e di uomini passatempo. Mi ci vollero tre anni per riprendere quota. Riuscii a risposarmi solo dopo dieci e a mettere al mondo quel figlio maschio che sentivo di avere dentro.  

Una mattina ricevetti una chiamata dal passato: era la seconda moglie di Filippo. Mi raccontò che si erano sposati non appena lui aveva ottenuto il divorzio e avevano avuto una figlia. I problemi tra loro erano iniziati quando lei rimase incinta e preferì, per la bimba in arrivo, il nome di Sofia a quello di Eleonora. Fu un affronto al marito che sollevò il coperchio della rabbia che aveva sepolto per anni. Lui, allora giovanotto, aveva voluto comportarsi da uomo pensando che bastasse già quella dei genitori. Si era messo a studiare e lavorare con accanimento mascherando le fragilità. Vedeva nel matrimonio, e nell'arrivo di una figlia, la sola speranza per sua madre di ritrovare il sorriso. Gli serviva dunque una moglie, che avrebbe fatto in fretta a trovare, per attuare il suo piano. Tutto il resto: l’amore, l’intimità, la fedeltà, erano sentimentalismi con cui aveva chiuso da un pezzo.  

Parlare con quella donna mi fece aprire gli occhi sul destino a cui ero scampata e mi aiutò a far guarire anche le ultime ferite rimaste aperte. Poi l’annuncio: "In sede di divorzio gliela farò pagare per il male che ha fatto a me e a te". Le risposi che non era necessario, che per me si trattava di una storia chiusa  e le augurai di rifarsi una vita.

Il finale della vicenda, che mi raccontò Giuliana nel salotto di quella casa che non vedevo da quindici anni, fu molto peggio dell'epilogo di un divorzio combattuto con ogni mezzo: Filippo era in carcere con l’accusa di pedofilia e non avrebbe mai più potuto rivedere la figlia. 

Rimasi scioccata. Non poteva essere vero. Un uomo di così belle speranze e una famiglia per bene erano stati travolti da uno scandalo terribile.

Non erano bastati denaro e potere a risparmiarli da tutto questo. Filippo, accecato dalla rabbia aveva perso il controllo di sé e chissà che altro…

Mi pareva di essere uno di quei testimoni che, di fronte a una vicenda del genere, dichiarano che conoscevano l’uomo in questione e che era al di sopra di ogni sospetto.  

Le chiesi come mai avesse voluto raccontarmelo. Con un filo di voce mi disse: "Te ne sei andata da questa casa che eri una bambina, Dio solo sa quanto avrai sofferto per causa nostra, ma ti sei salvata da un destino terribile. Se puoi, perdonaci." L’abbracciai con forza e piansi come solo una madre può fare.

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