Andava spesso in quella biblioteca, dove cominciava a sentirsi di casa. Del resto era per molti versi normale che una studentessa universitaria frequentasse quel luogo a caccia di “collegamenti del sapere” come lei chiamava gli spunti che cercava per la sua tesi di filosofia.
Più inusuale, invece, era la frequentazione del posto da parte di quel vecchio piuttosto malridotto che vi passava tutte le mattine. Inusuale non perché fosse vecchio, che di persone avanti con l’età non era infrequente trovarne, ma perché era un mendicante che passava il pomeriggio seduto per terra sotto il portico, poco distante dalla biblioteca, fra una panetteria e una gioielleria.
Ogni tanto gli controllavano all’uscita la borsa che portava a tracolla, ma lui non se ne adontava. Non aveva manifestato risentimento nemmeno le volte – un paio, non di più – che lo avevano gentilmente allontanato perché l’aspro odore che emanava il suo corpo, o meglio il suo abito lercio, risultava insopportabile agli altri lettori.
Lei aveva preso l’abitudine di sedersi poco lontano da lui e spesso l’osservava con la coda dell’occhio, attratta dalla delicatezza con la quale sfogliava i libri e dall’intensità con cui si soffermava su alcune pagine che sembrava leggere e rileggere. Aveva sempre una pila di volumi davanti a sé e il loro dorso ne evidenziava il contenuto: Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzche.
Un giorno decise di parlargli.
«Lei è un pensatore?» gli chiese.
«Sto solo cercando di trovare la strada giusta e questo mi spinge a una riflessione sulla condizione umana».
«La vedo spessso sotto il portico…».
«E’ la vita che mi sono scelto. Mi sembra coerente col mio lavoro».
«Lei lavora?».
«Sì, sono un frate»
«Non porta il saio…».
«Potrei limitarmi a ricordarle che l’abito non fa il monaco, ma aggiungo che ritengo di maggior valore l’elemosina fatta a un barbone che quella elargita a un rappresentante della Chiesa, perché è più spontanea, più in sintonia con la Bibbia, dedicata in massima parte alla misericordia, al condividere ciò che si ha con chi non ha nulla. Non indosso il saio nemmeno quando distribuisco ai bisognosi quello che ho raccolto perché voglio sentirmi uno qualunque, non l’uomo fortunato che ha avuto il privilegio della vocazione».
«Mi sembra che la misericordia sia un principio condiviso all’interno della Chiesa» osservò la ragazza.
Il vecchio le sorrise, ma nel suo sorriso c’era una tristezza infinita.
«Se fosse condiviso, gli Spirituali, l’ordine di cui faccio parte, non sarebbero stati perseguitati da papi e cardinali, nell’indifferenza generale».
Lei lo guardò e le si illuminò lo sguardo.
«Potrebbe essere l’argomento della mia tesi: la Chiesa incapace di comprendere il senso della misericordia. Aspetti, prendo un foglio, così mi da delle indicazioni».
Tornò al suo posto, prese un foglio e la penna e tornò dal vecchio. Ma lui non c’era più. Guardò verso l’uscita ma non vide nessuno.
“Forse tornerà”, si disse. Prese dalla pila un libro e ne lesse il titolo: Historia septem tribolatiorum ordinis minorum. Come sottotitolo riportava: Narrazione delle persecuzioni subite dagli Spirituali. L’autore era Angelo Clareno. Lo sfogliò e, da quel poco che lesse, capì che l’autore (1255.1337) era stato un frate piuttosto ribelle, perseguitato e scomunicato perché predicava la poverta degli ecclesiastici. Sfogliò ancora qualche pagina e la sua attenzione fu catturata da un disegno che riproduceva l’immagine di Angelo Clareno. Ebbe un sussulto: il vecchio con cui aveva parlato sembrava la sua reincarnazione.
Nel pomeriggio cercò il frate sotto il portico, ma non lo trovò. E nemmeno nei giorni successivi. Il suo posto fra la panetteria e la gioielleria, fra il necessario e il superfluo, rimase da allora vuoto.