Oggi è un giorno no. Non ho voglia di vivere. Il mio non è un vivere, è un subire il tempo che scorre senza aspettare niente. Ero un uomo ricco di spirito, ora non sono altro che un ammasso di stracci che si trascina da una parte all’altra della città, senza una meta, senza qualcuno da raggiungere, senza uno scopo. Non so più chi sono e non ricordo più chi ero.

Stamattina un passante mi ha lasciato qualche moneta. Era un uomo in giacca e cravatta e anche da fermo aveva un bel portamento. Elegante, pieno di sé e cosciente del proprio essere. Io, invece, penso di avere uno sguardo vuoto, riflesso di quello che mi è rimasto dentro. 
Il mattino dopo, l’uomo ha deciso di farmi un regalo: mi ha lasciato un libro. 
Perché proprio a me un libro? Non capisce in che condizione sono? Perché dovrebbe interessarmi un libro? Che benefici ne potrei trarre? Non sono niente e nessuno. Mi è rimasto solo qualche brandello di anima, e presto perderò anche quello. 
Non sapevo che farmene, di un dannato libro. L’ho messo insieme alle altre mie cianfrusaglie. Poi mi sono sdraiato sul mio piumone e mi sono messo ad osservare le scarpe dei passanti. Non avevo sonno, ma non avevo nemmeno altro da fare. Non so per quanto tempo sono rimasto così. Credo di non conoscere più il significato della parola “tempo”. Trascorro così tanti, e infiniti, attimi senza far nulla, che mi sembra di non averne più, di tempo. È come essere arrivati al capolinea e aspettare, invano, di poter scendere dal treno. Non puoi scendere, devi stare li, e ci resterai fino a quando ti sarai dimenticato cosa stavi aspettando. 
Dopo un po’ mi sono girato dall’altra parte, col viso verso il muro. Bello spettacolo anche questo. Grigio. Non vedo altro che grigio. 
Quando mi viene in mente il libro regalato, non ho nemmeno voglia di mettermi seduto per prenderlo. Allora aspetto.

Non so che giorno è, ma l’orologio della stazione dice che sono quasi le sette. Ho fame. Con i pochi spicci che ho non arrivo nemmeno a cinque euro. L’unico motivo per cui mi alzo da questo schifo di piumone è la fame. La fame è l’unica cosa che ogni giorno mi ricorda che sono vivo. Mi sono alzato facendo una fatica immensa, con addosso il peso di tutti i giorni che ho passato sdraiato per terra. Sono andato a prendere un panino, uno di quelli che ti danno nei fast food per un euro. Ogni volta che mi allontano dalle mie cianfrusaglie non so mai se poi le ritrovo. 
Quando sono tornato ho capito che qualcuno si era avvicinato alle mie cose. Il libro era dove io di solito appoggio la testa. Mi son seduto quasi con la paura di aver dimenticato anche come si legge. Sono andato alla prima pagina, ci ho passato sopra le dita per sentirne il ruvido. Ho osservato il nero delle lettere. Era un libro stampato in modo grossolano, con poca cura. Ho osservato i numeri delle pagine. Ho toccato la copertina. Era una vita che non tenevo tra le mani un libro. Ero, al contempo, ammaliato e impaurito. 
Ho iniziato a leggere e, dopo poche parole, mi sono messo a piangere. In un attimo mi è tornato alla mente quello che io ero: un uomo ricco di spirito che si nutriva di lettura. Ora mi sento un avanzo della società
Ho messo via il libro, cosciente di essere entrato, per qualche istante, in un altro mondo, in una vita parallela, in un qualcosa che non mi appartiene, se non nel tempo della lettura. Poi ho pensato che potevo usare le pagine bianche che ci sono all’inizio e in fondo per scrivere. 
Non avevo la penna. Sono andato a rubarla; so che è un gesto insulso, sbagliato, che non si fa, ma l’ho fatto con la gioia nel cuore. Potevo leggere. Potevo scrivere. 
Quell’uomo non sa cosa mi ha regalato. Mi ha regalato la possibilità di avere dei nuovi momenti di vita.

Sono passate due notti e ho finito il libro. Adesso cosa faccio? Rifaccio tutto da capo. 
Mangio. Dormo. Leggo.

Dopo altri due giorni, l’uomo in giacca e cravatta è tornato. Mi ha lasciato qualche moneta e un altro libro. 
Mangio. Dormo. Leggo. 
Quell’uomo mi ha regalato un motivo per sentirmi vivo. 
Non mi ricordavo che ci si potesse sentire vivi per qualcosa di diverso dalla fame.

Sono trascorse altre notti. Lui è tornato. Gli ho ridato il primo libro che mi aveva donato. Ho lasciato che si portasse via anche le mie pagine scritte e ho aggiunto un “grazie”.

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