Quella era la solita, fottuta mattina del cazzo, come tutte le altre.
La sveglia suonò, la spensi e restai nel letto a pensare esattamente quello che pensavo tutti i giorni: "ma cosa diavolo ci faccio ancora qui?" 

Solitamente di prima mattina non parlavo mai con nessuno, avevo bisogno dei miei trenta minuti di autonomia, giusto il tempo di preparare il caffè, berne una tazzina e fumare due sigarette.

Quella era probabilmente la parte della giornata che più adoravo, eravamo solo io ed i miei pensieri.

I miei pensieri.

Ci soffocavo ogni volta. 

Erano gli unici che mi cullavano per tutto il giorno, senza tregua, senza sosta, senza pausa, senza lasciarmi respirare, mai. 

Avevo già avuto a che fare con angoli oscuri dei miei pensieri e non mi era piaciuto affatto. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era ricaderci di nuovo e quindi cercavo di essere forte, cercavo di mettere in atto ogni giorno quello che avevo imparato in terapia con lo psicologo, ma non riuscivo mai a capire perché loro erano più forti di me. Tuttavia, erano gli unici a tenermi compagnia.

Avevo la strana convinzione che accettare i pensieri fosse un ottimo passo per iniziare ad accettare se stessi, o almeno era ciò di cui mi convinse lo strizzacervelli. Forse da un lato aveva ragione... ero solo troppo debole per farlo, o forse troppo forte da viverli a trecentosessanta gradi, o forse ero semplicemente una paranoica del cazzo con pippe mentali che la mandavano fuori di testa. 

Tutto dipendeva dai punti di vista e, quindi, di conseguenza, dalla testa con cui mi svegliavo la mattina.

***

Spensi la seconda sigaretta e corsi in bagno per farmi una doccia, mesi la playlist dei Guns N' Roses. Era da tanto che non li ascoltavo. Almeno mi davano un po' di energia, un po' di adrenalina per affrontare un'altra giornata di scuola. 

A differenza delle ragazze della mia età, a me piaceva davvero un sacco andare a scuola: avevo il mio compagno di banco, Sean, che aveva la rara qualità di farmi ridere anche di prima mattina; Justin, o meglio, "quello seduto dietro di me", che riusciva ad ironizzare praticamente su tutto e Joseph, probabilmente il ragazzo più buono che io abbia mai conosciuto.
Noi quattro eravamo i tipi del muro, poiché eravamo seduti vicino al muro, al lato opposto della finestra, e tutti i professori dicevano che eravamo davvero lontani a differenza degli altri nostri amici di classe, e benché ci avessero invitato più volte a spostarci nel centro, avevamo sempre rifiutato. Probabilmente stare seduti lì ci rendeva degli EAM (estranei alla massa), figli di puttana che fottevano il sistema... macché, eravamo dei coglioni di prima categoria.
Erano sempre risate nella mia classe, ero capitata con gente davvero disagiata, non riuscivamo mai a fare i seri per più di cinque minuti.

Quel giorno avevo inglese alla prima ora, solitamente dormivo durante la prima ora, avevo troppo sonno per seguire la lezione e fortunatamente avevo completato le mie interrogazioni del primo quadrimestre, almeno il quella materia.
La terza ora era quella più devastante: avevamo storia. Cristo, che palle, probabilmente la materia che ho odiato di più in tutta la mia vita e la prof. sicuramente non aiutava nel renderla divertente. Le ore con quella sembravano non passare mai, ci facevamo tutti forza a vicenda con sguardi di conforto ed era un continuo guardare l'orologio che quasi metteva ansia. Quando suonò l'ora di storia facemmo tutti un gran respiro e ci rilasciammo sulle sedie.
Passammo le altre tre ore a fare praticamente nulla, poi tornai a casa. Mi venne a prendere mia mamma, come al solito e, appena entrai in macchina, alzai il volume dello stereo, come facevo sempre. Avevo riempito la pennetta USB di tutte le canzoni che mi piacevano in quel periodo. I Depeche Mode pompavano forte in quel momento ed iniziai a canticchiare sottovoce, giusto per far vedere a mia madre che avevo da fare e non mi andava di rispondere alle sue domande.

Arrivammo a casa, lasciai cadere a terra lo zaino della Vans e corsi in direzione della tavola.

Subito dopo mangiato crollai sul divano, mi feci la mia solita pennichella pomeridiana di tre ore, fino a quando non mi squillò il telefono: era Mery. Mi disse che dovevamo vederci a casa di Vins per finire il video per i diciotto anni di Monique e Paul, che conoscevo da tredici anni e per me erano praticamente una sorella ed un fratello.
Quindi sgaiattolai fuori dal divano e mi precipitai in bagno per darmi una rinfrescata e rendermi almeno presentabile. Mi guardai allo specchio, era tutto al suo posto: capelli castani rasati e spettinati, occhi neri, naso leggermente in su, e i miei quarantasei chili di ansia. Mi lavai la faccia e mi rivestii, presi lo zaino e mentre uscivo di casa mi accesi una sigaretta e misi gli auricolari alle orecchie. Casa di Vins era molto vicino a casa mia, per fortuna, e quando arrivai lì lo salutai come era mio solito fare e andammo in camera sua per accendere il computer e mettere delle foto nel video.

Vins era il migliore amico di Paul, ed anche il mio. A dire il vero, eravamo sempre noi tre. Qualsiasi cosa faceva uno, gli altri due in un modo o nell'altro erano coinvolti; dove andava uno, andavano anche gli altri due; se uno di noi fumava, di conseguenza gli altri due accendevano una sigaretta, forse per solidarietà.

Erano l'unica certezza che avevo, quei due. 

I miei uomini, i miei pilastri.

***

Dopo circa pochi minuti arrivano anche Mery e Taylor, ci salutarono e ci mettemmo a lavoro. Mangiammo e bevemmo coca-cola e avemmo una piccola discussione su cosa scrivere e cosa no, quali foto mettere e quali no, soliti battibecchi che ci sono tra amici quando bisogna fare qualcosa.

Sentii il cellulare suonare, sembrava una notifica di Facebook. Mery prese il mio telefono e quando vide ciò che c'era sullo schermo iniziò ad esultare ed io davvero non capivo cosa fosse per essere così felice. Le tolsi il cellulare dalle mani e guardai lo schermo. 
"Perché non ti si vede spesso in giro?" era un messaggio da Tom Fitzgerald. 
Subito capii chi era, l'avevo visto la sera precedente al Sound, un club nei dintorni del nostro paese, che mi osservava. Lo conoscevo, era l'amico del ragazzo di Mery. Non mi aspettavo un suo messaggio... non eravamo mai andati oltre il saluto. Mi era sempre parso un tipo misterioso, con qualche strano segreto nascosto... forse era proprio per questo che i miei occhi non smettevano mai di cercarlo quelle poche volte che uscivo con Mery ed il ragazzo, anche perché era solito scrutarmi dalla testa ai piedi ogni volta che mi vedeva.
Decisi di non rispondere subito, ma dopo pochi minuti non resistetti alla tentazione e gli risposi.
"Cosa cambierebbe se mi vedessi di più?"
Posai il cellulare e mi concentrai sul video.
 

 

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