La natura è la mia stessa carne, il mio sogno e la mia realtà. Le colline sono i fianchi di una dea, i venti il respiro caldo che scuote i pensieri. 

Le donne che ho conosciuto non erano diverse dai fiori dei campi: quasi sfrontate nella loro bellezza, offerte al sole come pesche mature, sature di profumi che non riesco a dimenticare. Io le guardo e la brama di possederle mi fa tremare vene e polsi, come diceva quel Poeta. 

E quando il mio corpo si piega col ritmo lento del remo, nel silenzio d’oro della Senna, tutto in me si ricompone. Sì, lo so, quello che ha detto il mio maestro, ma non posso fare a meno né del canottaggio né delle puttane. Solo così il mio cervello riesce a produrre il miracolo della scrittura. È come una macchina: il corpo è macchina e il cervello ne è una parte, ma non la più importante. E, come ogni macchina, ha bisogno di un carburante. E, lo ripeto, la mia benzina è data dal canottaggio e dalle puttane! Mi spiace, amico, ma devo deluderti: non cambierò mai idea.

L’acqua si apre in mille onde che si frangono sulla riva davanti alla barca; il fiato si spezza nel petto, non sono più vigoroso col remo… arranco. Il sole mi batte sulle spalle: è questa la vita, pura e silente. Lo sport, la fatica e il sudore… la natura. Io non penso, non scrivo: esisto soltanto come corpo. Penso con l’organismo tutto, mi trasmette sensazioni che trasformo in scritti, come un fiume in piena che non conosce ostacoli.

Nessuna barriera, come un pesce sotto la superficie o una nuvola che fugge rapida. Sono un frammento di vita, un minuscolo ingranaggio del gigantesco meccanismo che si chiama universo!

Ma oggi, non so perché, c’è qualcosa di diverso. Forse la troppa bellezza. Forse questo eccesso di luce che mi pesa sugli occhi. Remo ancora, e il fiume scorre come un sogno che non voglio interrompere. Sento il canto delle donne che passano sul ponte, il fruscio delle foglie del boschetto sulla riva, il palpito della mia carne viva…

Poi, inatteso, accade qualcosa nel cielo: le nubi cominciano ad addensarsi, il sole non splende più come prima. Che succede? Non me ne rendo conto, ma è come se un’ombra calasse sulla mia anima.

È il sole che non brilla più come prima o è l’universo che si rivela per quello che è, davanti ai miei occhi, in questo pomeriggio?

Qualcosa emerge, qualcosa che è nel fondo della natura.

All’improvviso ricordo il pensiero di Schopenhauer, il grande filosofo. Egli credeva in una cieca forza che sta alla base dell’universo: la voluntas, qualcosa di oscuro e irrazionale che domina la vita. Non è vero che tutto è gioioso e bello: la natura è un mostro bifronte.

Ma il mio corpo si rifiuta di pensare a ciò che dice il mio cervello. Non posso credere che quello che vedo davanti a me sia solo una superficie di cartapesta: le onde del fiume, così fluide e delicate; il riflesso del sole sull’acqua che crea strisce d’oro e bagliori; quel verde laggiù, i bambini che giocano e le loro voci che la brezza leggera porta fino a me...

No, non posso crederci. Eppure è così e devo prenderne atto.

Poi lo vedo.

Un gorgo, là nel mezzo dell’acqua, che ruota lento con una grazia, sembra quasi un occhio che mi scruta pensieroso. Già, perché là dietro, nell’acqua, a una profondità insondabile, c’è qualcosa che mi osserva e medita su me e sa tutto della mia esistenza e di quella di ogni uomo, sa più di quanto nessuno potrà mai scoprire, anche campasse mille anni. 

È la natura, la natura di cui parlava quell’italiano — un altro grande — che abbiamo dimenticato fin troppo presto... Ne ho parlato alle serate di Médan...

Quel vortice in mezzo al fiume è una bocca che chiama, un invito muto, irresistibile. 

Mi sembra di riconoscermi in quel flusso, di ritrovare in quel vortice l'anima stessa, la mia dolce stanchezza, il desiderio di dissolvermi nella natura che ho tanto amato.

Appoggio il remo. 

Guardo il cielo, così limpido che pare di poterlo attraversare. 

L’acqua mi è vicina, viva, fredda, madre e amante insieme. 

E senza pensarci, come chi torna finalmente a casa, mi lascio andare.

La Senna mi riceve, mi stringe, mi trascina.

Tutto si confonde: il sole, il verde, la carne, il fiume... 

E in quell’abbraccio smisurato, che è bellezza, che è fine, che è pace, in quell’abbraccio io scompaio.

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