Era costume, nei popoli antichi, quando si venerava ancora l’antica religione e prima che si affermassero gli Dei dell’Olimpo, di festeggiare tutte le ricorrenze legate alla Madre Terra. I vari culti erano dedicati al Sole, la fonte di calore ed energia per far crescere i raccolti, per separare il regno della luce da quello delle tenebre. Il Sole per loro era sorgente di vita ed erano molte le genti che lo adoravano come un Dio, parimenti c’erano anche gli adoratori della notte e trovavano riscontro nel culto in onore della Dea Selene. La sua luce fredda e argentata era una traccia da seguire nelle ombre, era la difesa dalle tenebre dove si annidava il male.

       Nel variare delle stagioni, che a quei tempi erano più precise e definite di oggi, si onorava la grande madre Demetra. Per la civiltà rurale lei era la divinità unica, era lei che teneva i destini degli uomini in mano. Loro la onoravano, con feste particolari, canti a balli riempivano le pianure e le foreste, molto rigogliose in quel periodo. I custodi di tutte le tradizioni popolari, erano i grandi sacerdoti, che si tramandavano le conoscenze dell’uso delle erbe per la medicina e anche dei riti propiziatori in onore delle Divinità. 

Si stava avvicinando l’equinozio d’autunno e c’era fermento nel villaggio. Il re era stranamente preoccupato, l’evento che si stava avvicinando, sapeva che era niente di più di una festa. I preparativi erano a buon punto e il popolo non aspettava altro che scatenarsi nelle danze e nei canti in onore della figlia di Demetra, Persefone, che stava per lasciare il mondo di sopra per recarsi nel regno degli inferi per mantenere fede all’impegno preso con il dio degli inferi Ade. Il re sapeva che queste feste propiziatorie erano legate all’andamento dei raccolti e di conseguenza al benessere del popolo. Per sua fortuna nel suo regno non era mai successo un evento negativo, Demetra era stata sempre benevola con lui e il suo popolo, ma sapeva bene quanto il suo predecessore, suo padre, aveva dovuto pagare in termini di vite umane. I gran sacerdoti, quando le cose andavano male, si rifugiavano nel consueto sacrificio agli Dei, immolando animali sacri­ficali e, in ultimo, se ancora persisteva il problema, ricorrevano al sacrificio umano. Quell’anno l’estate non era andata bene, i contadini avevano tribolato parecchio per racimolare dei raccolti che sicuramente in inverno non sarebbero stati sufficienti al sostentamento dell’intera popolazione. Le premesse per una cerimonia in tono minore c’erano tutte, per questo lui era preoccupato, se la situazione peggiorava, vedeva in pericolo la vita di sua figlia, l’unica che aveva. Lui come re non poteva certo opporsi al volere dei sacerdoti e alle attese del popolo. Gli Dei non potevano essere offesi con un rifiuto.

Guardava la popolazione che era preda di una strana frenesia, quasi a voler scacciare i demoni di una carestia con i balli e i canti. Tutti gli abitanti del regno si stavano radunando nei pressi delle mura della città. Fuori c’era spazio sufficiente per accogliere tutti. Era stata montata anche l'ara marmorea in previsione dei consueti sacrifici, si stavano preparando a gioire della festa, ma erano nello stesso tempo coscienti che quell’anno sarebbe stato a rischio e nei loro cuori albergavano sensi di paure e di scenari funesti. Come annunciato, le feste ebbero inizio una mattina al sorgere del sole per terminare al tramonto del terzo giorno. Da quel momento in poi la vita sarebbe ripresa come sempre, con la speranza di riuscire a sopravvivere al lungo inverno, il tempo che Persefone restava con il suo sposo nell’Ade. La madre Demetra come sempre si sarebbe assopita in attesa del ritorno della figlia. In quel periodo gli uomini erano abbandonati a loro stessi, dovevano riuscire a vivere con le loro forze e con le risorse che erano riusciti a conservare. Era inutile rivolgersi alla Dea invocando la sua protezione, la madre in quel periodo era come morta, assente in tutto, non sopportava l’assenza della figlia segregata negli inferi. Gli uomini erano chiamati a gestire le loro vite con le sole forze che avevano. Il buio della sera era sceso improvviso e gli uomini erano ancora intenti a cantare e ballare. Il vino scorreva nei boccali e niente lasciava presagire ciò che di lì a poco sarebbe successo. 

Cominciò con leggero venticello del quale nessuno si accorse perché troppo occupati nei festeggiamenti. L’aria che circolava fra le vesti delle fanciulle, allietava la stanchezza del ballo, ma quasi d’improvviso il vento si alzò ancora di più e le prime fiaccole cominciarono a spegnersi per l’impeto del vento. I fuochi predisposti per arrostire le carni si ravvivarono e là dove erano braci ora c'erano fiamme alte che si spandevano in ogni direzione. I bambini furono i primi a reclamare e a piangere per la paura di quel vento impetuoso. Nel cielo anche se era notte, si videro nuvole nere arrivare con rumore di tuoni. Il re tornò precipitosamente nella sua reggia, i sacerdoti si raggrupparono nei pressi dell’altare. La gente cominciò a scappare dalle zone aperte per rifugiarsi all’interno delle abitazioni. Com’era prevedibile la pioggia non tardò a scendere violenta, in un attimo tutti i fuochi si spensero e l’intera zona fuori le mura, dove si stava festeggiando, rimase al buio. Solo il chiarore dei fulmini illuminava a sprazzi il terreno rivelando uno squallido stato di abbandono. In tutto lo spiazzo c’erano rifiuti di ogni genere, resti di cibo, ossa e carne strappata dalle braci, ancora fumanti. Piatti di terracotta e boccali di legno, vesti femminili, veli e ghirlande di fiori che il vento aveva tolto dalle decorazioni e ammassato in angoli nascosti. La violenta tempesta colse gli uomini impreparati, atterriti dai fulmini si misero a pregare la dea che li salvasse da una morte certa. I sacerdoti impauriti, ma costretti dal ruolo che ricoprivano, dovettero escogitare qualcosa per placare le ansie della popolazione. Due di loro si recarono in missione dal re per esortarlo a prendere in considerazione il sacrificio estremo, occorreva una vergine da sacrificare e la prescelta per quell’anno era proprio la figlia del re.

Il sovrano all’inizio cercò di difendersi dalle pressioni dei sacerdoti, anche se in cuor suo sapeva bene che non poteva far niente per evitare il destino della figlia. Dopo un'accesa discussione, il sovrano dovette cedere e tramite dei servitori, mandò a chiamare la principessa. Mentre aspettavano l’arrivo della ragazza, i sacerdoti guardavano dalla finestra verso il buio della notte. Solo gli squarci di luce illuminavano la notte, anche a loro dispiaceva, dover uccidere una ragazza giovane e bella come la principessa.

 

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