Lui non disse una parola. Si alzò lentamente dal letto e, senza guardarla, si avvicinò alla finestra. Rimase lì, in piedi, con le mani lungo i fianchi e lo sguardo perso oltre i vetri, dove il cielo grigio sembrava essersi fatto ancora più cupo.

Poi cominciò a parlare, con voce bassa ma ferma.

«Durante la rotta del mio reggimento, davanti all’avanzata del nemico, mi sono ritrovato da solo. Disarmato, confuso. Mi hanno catturato. Mi hanno portato in un campo, e lì… lì è cominciato tutto. Un ufficiale austro-ungarico mi si è avvicinato. Sapeva già di voi. Mi ha fatto una proposta: io lo avrei aiutato a scoprire il vostro nascondiglio, e in cambio lui avrebbe lasciato in pace i miei genitori, che vivono in territorio occupato».

Fece una pausa. Caterina non disse nulla.

«Mi disse anche che, se avessi parlato con qualcuno, anche solo accennato al patto, per i miei si sarebbero spalancate le porte dell’inferno. È così che mi sono messo a cercarvi, villaggio dopo villaggio. Ma non per consegnarvi a loro. Cercavo di raggiungervi prima, di avvisarvi. Di mettermi d’accordo con voi su cosa fare. Non sono un traditore, Caterina. Io credo in quelle scritte sui muri sbriciolati, le hai viste anche tu: "Tutti eroi o il Piave o tutti accoppati". Te ne volevo parlare, ma mi hai preceduto».

Lei scosse appena la testa, incredula.
«Metterci d’accordo? E su che cosa?»

Lui si voltò. Finalmente la guardò negli occhi.
«Dobbiamo attirare quegli imperiali in una trappola. Tutti. E ucciderli. Solo così potrò essere certo che non faranno del male ai miei. Se spariscono, se non tornano, nessuno saprà mai che cosa è accaduto davvero. Mi vuoi aiutare, Caterina?»

Lei lo fissò a lungo, senza parlare. Gli occhi inchiodati ai suoi, come a volerne scrutare il fondo, per capire se lì dentro ci fosse verità o solo menzogna, e se fidarsi fosse ancora possibile.

Annuì lentamente, senza distogliere lo sguardo dal suo volto.

«Va bene,» disse con voce fredda. «Ma ricordati una cosa: se qualcosa non dovesse andare come previsto, se anche solo per un istante dovessi avere il dubbio che ci stai usando, tu saresti il primo a cadere».

Le sue parole non erano una minaccia, ma una sentenza. Le pronunciò senza alzare la voce, senza rabbia, ma con quella fermezza che nasce solo da chi ha visto il prezzo del tradimento e ha deciso che non lo pagherà una seconda volta.

Giulio non rispose subito. Abbassò lo sguardo, quasi a voler raccogliere la gravità di quel giuramento silenzioso. Poi annuì a sua volta.

«È giusto così».

Per un lungo momento rimasero entrambi in silenzio. Fuori, il vento d’autunno soffiava tra i rami, sollevando mulinelli di foglie secche, come presagi in attesa.

 

Capitolo VI  La trappola

 

Giulio camminava a passo svelto. Doveva raggiungere il punto concordato per l’incontro con l’ufficiale imperiale. Più avanti, sulla strada polverosa, scorse un piccolo reparto di soldati in attesa. Era arrivato.

L’ufficiale gli andò incontro, accennando un sorriso che non arrivava agli occhi.

«Giulio, finalmente. Stavo cominciando a pensare che non saresti più venuto. Hai localizzato il nascondiglio delle Sorelle?»

Giulio scosse il capo.
«No. Ma so che oggi si riuniranno tutte in un luogo che conosco bene. Se giocheremo con astuzia le nostre carte, avremo l’occasione di chiudere la partita. Per sempre».

L’ufficiale inarcò un sopracciglio.
«E dove si troverebbero, esattamente?»

«Non lontano da qui. Una chiesa abbandonata, dimenticata da tutti. Tranne che da loro».

«Ottimo,» disse l’ufficiale, con un tono che sapeva di soddisfazione e minaccia. «Fai strada, allora. E ricorda: se farai bene il tuo dovere, non avrai nulla da temere. Né tu, né i tuoi cari. Ma se proverai a ingannarci…»

Giulio lo interruppe, con voce bassa ma ferma:
«Non è necessario che me lo ricordi. So bene qual è la posta in gioco. Ora andiamo».

Si incamminarono lungo la strada, con Giulio e l’ufficiale in testa al reparto, il passo scandito da un silenzio denso come l’attesa di uno sparo.

Fu così che, dopo poco, raggiunsero una chiesa di campagna, isolata tra gli ulivi e l’erba alta. L’edificio, un tempo devoto, ora mostrava crepe profonde nei muri e vetri infranti alle finestre. Un silenzio sospeso sembrava proteggerlo come un velo.

Giulio si fermò un istante, poi si voltò verso l’ufficiale.

«Dobbiamo entrare. Se ci vedono da lontano, potrebbero fuggire. Ogni secondo è prezioso».

L’ufficiale strinse le labbra, indeciso.
«Non lasciare nessuno dei miei all’esterno potrebbe essere rischioso… Se è una trappola, saremmo chiusi dentro come topi».

«Se anche solo uno dei tuoi si fa vedere, il piano salta. Le Sorelle non sono sprovvedute. Appena avvertiranno qualcosa di strano, spariranno. Se vogliamo prenderle tutte, dobbiamo correre il rischio. È l’unico modo».

L’ufficiale lo fissò per qualche istante, poi annuì, cupo.

«Ora muoviamoci » disse Giulio, senza distogliere lo sguardo.

Si avvicinarono all’ingresso, e uno a uno i soldati entrarono nella navata spoglia, dove l’eco dei passi si propagava come un presagio. Le ombre si allungavano sulle pareti scrostate.

In fondo, dietro l'altare, si ergeva un crocifisso annerito dal tempo. Giulio lo fissò, e per un attimo il volto di quell’uomo inchiodato alla croce si confuse con quelli dei suoi commilitoni — ragazzi semplici, travolti dall’orrore delle trincee. Rivide gli occhi sbarrati di chi era caduto nel fango, le mani tese di chi chiedeva aiuto, le urla di chi aveva perso una gamba, un braccio, la speranza. Tutti martiri di una guerra che non avevano scelto.

Ma quel pensiero durò un istante.

«Mettetevi a ridosso dei muri e tenete sotto tiro l’ingresso,» ordinò l’ufficiale, spezzando il silenzio. «Ma sparate solo al mio cenno».

I soldati si mossero rapidi, cercando copertura lungo le pareti scrostate. L’eco dei passi si dissolse in un silenzio opprimente. Fu allora che si udì un rumore strano, provenire dall’alto — come un alito di vento che si insinuava tra i vetri rotti. Ma quel giorno non soffiava alcun vento.

Un tremore percorse l’aria. Poi, qualcosa cadde sul pavimento in più punti. Oggetti metallici, cilindrici, rimbalzavano tra le assi sconnesse.

Gli sguardi si incrociarono. L’interrogativo si fece panico.

«Granate!» urlò qualcuno.

Giulio scattò verso il fondo della chiesa e si gettò dietro l’altare. Un istante dopo, l’inferno si scatenò.

Le esplosioni si susseguirono con ferocia brutale, una dietro l’altra, come tamburi di morte. Le grida laceranti si sollevarono verso il cielo, mescolandosi al fragore dei crolli, all’odore di carne bruciata, al fumo acre della polvere da sparo. Arti, membra, interiora: tutto volava, come strappato via da una forza cieca. Il pavimento si colorò di rosso, e la chiesa, per un tempo che sembrò eterno, fu solo sangue, fuoco e silenzio spezzato.

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