Nei primissimi anni settanta del secolo scorso avevo il mio cavallo.
In verità non si trattava di un animale.
Avrei voluto anche quello  ricordo .
Ma vivendo in città mia mamma impiegò una giornata intera e la  sua dolce pazienza per farmi comprendere le  ragion  di quel no che probabilmente , dico ora voltandomi indietro, segnò la prima sconfitta dei miei sogni.
A quell'  epoca ,ricordo, la mia più alta aspirazione era diventare camionista.
Non  perché mi piacessero i  camion o le macchine in genere, ma perché pensavo di poter girare il mondo   a bordo del mio camion.
L'autista, chissà perché più del pilota di aeroplani, incarnava  ai miei occhi, che vorrei descrivere innocenti come purtroppo non lo furono mai, gli ideali della libertà.
Imparai a pedalare senza rotelle, sbucciandomi ferocemente le ginocchia su un viale senza macchine lastricato di cemento  gasato dalla velocità causata dal mio pedalare compulsivo  e sostenuto dagli incoraggiamenti urlati dai miei fratelli e da mia madre.
Per la prima comunione , non so bene da chi, ebbi un dono.
Una bicicletta.
Nuova!
Belinda.
Si chiamava Belinda.
Il colore?
Una tonalità  graffiante tra il rosa acceso ed un rosso ….strano...
Belinda forse nacque in una fabbrica a fine turno quando gli addetti alla verniciatura erano rimasti senza vernice ed avevano rimediato mischiando  colori inconciliabili tra loro.....
Il nome rimandava  ad una canzone amplificata mille volte al giorno dai jukebox.
Naturalmente l'amai da subito.

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