Cinque anni fa la buonanima di mio zio mi ha lasciato in eredità una deliziosa capanna situata nel bosco. In quel periodo stavo affrontando momenti difficili in quanto ero oberato dai debiti causati da un fallimentare matrimonio e da una cattiva gestione dell'azienda di famiglia. Ciò mi costrinse a vendere di tutto, dall'appartamento alla macchina, per far fronte ai guai, tranne quella costruzione di piccola dimensione dal tetto spiovente, nonostante le numerose e cospicue offerte ricevute.
Stamattina, ho sentito l'esigenza di venirci, giusto per staccare la spina per un po' dalla tediosa quotidianità della città. 
Bene, il camino scalda che è un piacere ed essendo quasi sera mi accingo ad accendere un antico lume a petrolio. Guardandomi intorno, rievoco per l'ennesima volta i miei verdi anni legati a questo posto. Mi ricordo che con lo zio trascorrevo liete giornate a parlare, a giocare a carte, a preparare gustose focacce e quant'altro.
«Mi manchi!» esclamo, divorato dalla malinconia e osservando sulla parete in legno di quercia la sua fotografia incorniciata che pende sbilenca. Odio le cose "storte," una caratteristica ereditata da lui.
Nell'atto di raddrizzare la cornice, casca un foglio di carta da dietro, scivolando lentamente sul pavimento. Capperi, si tratta di una stringatissima lettera. Nel leggerla, inizio a piangere, coprendo la bocca con una mano. 
--- Carissimo e adorato nipote, se non hai ceduto alla tentazione di vendere la capanna, sotto il parquet su cui stai poggiando i piedi ci sono nascosti centomila euro, soldi ottenuti dalla liquidazione di quando lavoravo in qualità di sottoufficiale dei carabinieri. 
Con affetto. 
Zio Tommaso. ---
 

Nota dell'autore: il titolo di questo racconto si rifà a La capanna dello zio Tom un celebre romanzo di Harriet Beecher Stowe.

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