Ho sempre avuto uno sguardo triste, sin da bambino.
La luce che entra è di intensità superiore a quella che esce. 

Sono un attento ammiratore della bellezza sia essa di un oggetto inanimato, privo del respiro e del fluire del sangue, ovvero del suo opposto, di un soggetto animato percorso da aria e liquidi. 

A ciò mi hanno educato. 

Tuttavia, tale mia attenzione è sempre meramente effimera. 

È come se fosse, contestualmente, rapita da altro, all’orizzonte immaginario, che deve ancora apparire, cosicché ella sia libera ed io nuovamente affamato.
Sono occhi di un vecchio bambino che conservano nella memoria albe e tramonti sul mare, teatri greci e capitelli, templi e colonne rastremate abbattute e fiordi, il sole del deserto, cime innevate e castelli, palazzi reali e moschee e chiese, sculture e quadri, arazzi e tombe, religiose meteore e piazze, dolmen e luoghi storici e mitologici, corpi nudi e celati, senza alcun sentimento di perversa possessione, senza alcun egoismo e senza sazietà. 

E la bellezza, ritengo, abbia sempre inteso il mio sentire, poiché ogni volta mi si è mostrata priva della paura di essere catturata e segregata in una dispensa. 

Ecco, i miei occhi si rallegrano solo in quell'attimo preciso in cui i ricordi, la libertà e la fame coincidono.
Come quando ho ammirato la tristezza nei tuoi occhi e il tuo rapido sorriso.
Gli occhi dei vecchi bambini quando si riconoscono, si scambiano i ricordi.
Gli occhi dei vecchi bambini sono affamati di attimi e sorrisi.
Gli occhi dei vecchi bambini si innamorano per il tempo di un sorriso.

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